martedì 27 agosto 2013

“2052 – Rapporto al Club di Roma”

Nel 1972, come è noto, su incarico del Club di Roma, un gruppo di studiosi del MIT pubblica " I Limiti dello sviluppo". Il libro, basato su simulazioni effettuate con i primi elaboratori elettronici, prefigura gli effetti della crescita della popolazione, dei consumi e dell’inquinamento sul nostro pianeta, fisicamente limitato. Ormai a distanza di tanti anni si riconosce che le conclusioni di quello studio erano sostanzialmente corrette.

Nel 2012, Jorgen Randers, uno dei coautori de “I Limiti dello Sviluppo”, ha deciso di avvalersi dei contributi di una quarantina di esperti e dei calcoli elaborati da supercomputer per provare ad immaginare come potrà essere il nostro futuro sulla Terra tra altri quaranta anni, nel 2052.
Il risultato di questo complesso lavoro è decisamente affascinante, in particolare per gli obiettivi prefissati da un blog come “Che Pianeta faremo”, ma credo anche utile a tutti coloro i quali, nei prossimi anni, debbano rivestire ruoli di responsabilità (politica e non) e di gestione di risorse.
Diciamo subito che le conclusioni a cui Randers arriva in “2052 – Rapporto al Club di Roma” – (Ediz. Ambiente – 2013), portano ad immaginare un pianeta, il nostro, che tra quarant'anni verserà in condizioni decisamente peggiori delle attuali e pur tuttavia non disastrose come qualcuno potrebbe credere.
Inevitabilmente sono costretto a sintetizzare un testo che meriterebbe ampiamente di essere letto integralmente con attenzione ed al quale rimando. Anzi, invito calorosamente a dedicarvisi, non sarà tempo perso, fidatevi.
Proverò comunque a mettere insieme i punti che giudico più importanti.

Randers parte dall'analisi storica dello sviluppo globale sulla Terra negli ultimi trecento anni. Prima del ‘700 il mondo era scarsamente popolato, per lo più a sviluppo agricolo e consumava pochissima energia (si andava avanti con gli schiavi, i cavalli, il bestiame e un po’ di legna da ardere). L’avvento delle macchine a vapore alimentate dal carbone diede inizio alla rivoluzione industriale caratterizzata da un progressivo ma anche esorbitante aumento dei consumi energetici. Negli ultimi 250 anni l’uso dell’energia ha reso i paesi industrializzati ricchi di beni materiali ed assicurato alle loro popolazioni una vita decisamente meno faticosa. Anche molti paesi un tempo meno industrializzati stanno oggi ripercorrendo quella stessa strada. La Cina ne è l’esempio più lampante ma certo non il solo. Già oggi possiamo annoverarvi nazioni come l’India, il Brasile e altre ancora caratterizzate oltretutto da un elevatissimo numero di abitanti.
La questione è che l’aumento senza limiti del consumo di materiali ed energia oltre a non essere praticabile vivendo su un pianeta limitato, risulta anche assai dannoso in termini di impatto sull'ambiente.

Secondo Randers, dunque, l’era della rivoluzione industriale è destinata prima o poi a tramontare per lasciare spazio all'era della sostenibilità caratterizzata da un mondo nel quale la popolazione non sarà più in aumento, dove l’energia sarà ancora molto utilizzata, anche se in maniera più saggia, e proverrà da fonti rinnovabili; avremo un mondo nel quale, finalmente, l’obiettivo primario sarà il benessere del genere umano e non più il possesso materiale. Il paradigma dominante dovrà spostarsi da quello di una crescita fisica infinita a una forma di stabilità che si adatti alla capacità di carico del pianeta.

Il punto cruciale è la velocità con cui si realizzerà tale transizione: saremo, cioè, capaci di realizzarla in tempo da evitare gravi danni allo stato di salute attuale del pianeta?
Secondo l’autore la risposta purtroppo è NO. Entro il 2100 probabilmente avremo raggiunto l’obiettivo di un mondo molto più sostenibile di quello attuale ma non senza gravi perdite in termini di biodiversità e grosse modifiche alle condizioni climatiche della Terra. E soprattutto i prossimi quarant'anni saranno fortemente influenzati dal modo in cui affronteremo cinque problemi d’importanza basilare: il capitalismo, la crescita economica, la democrazia, l’equità intergenerazionale ed il nostro impatto sul clima globale.
Provo di seguito a sintetizzare le principali previsioni avanzate dal testo sui principali temi:  

Popolazione nel 2052
Ci è voluta tutta la storia dell’umanità per arrivare a circa tre miliardi di persone nel 1960, altri quarant'anni per raddoppiare quel numero toccando i sei miliardi e altri dieci per raggiungere i sette miliardi di abitanti odierni sulla Terra. La previsione di Randers è per certi versi perfino ottimistica; egli infatti sostiene che il picco di popolazione globale sarà raggiunto attorno al 2040 e si aggirerà attorno agli 8,1 miliardi di abitanti. Da quel momento in poi la popolazione inizierà a diminuire. Ciò avverrà non a causa di malnutrizione, inquinamento o epidemie ma piuttosto dalla scelta volontaria di miliardi di famiglie - la cui stragrande maggioranza nel frattempo si sarà trasferita a vivere in grandi metropoli da milioni di abitanti - di procreare di meno. Quando infatti la maggioranza delle persone sarà urbanizzata, avere molti figli non rappresenterà più un vantaggio: ogni figlio in più in una metropoli è una bocca in più da sfamare, una persona in più da scolarizzare e non un paio di braccia in più da destinare all'agricoltura.

Energia e CO2 nel 2052
Circa l’87% dell’energia attualmente usata deriva da tre combustibili fossili: carbone, petrolio e gas. La parte rimanente è coperta per il 5% dall'energia nucleare e per l’8% da fonti rinnovabili (biomasse, idroelettrico e da un piccola - ma in rapida crescita – quota di eolico e fotovoltaico).
Possiamo aspettarci, sempre secondo l’autore del libro, che l’utilizzo di energia crescerà all'aumentare dell’attività economica e che dunque in proporzione verrà emessa maggiore quantità di CO2 in atmosfera almeno fino a quando non decideremo di passare all'utilizzo in maniera consistente delle energie rinnovabili. Di conseguenza fino a quel momento assisteremo ad un progressivo aumento delle temperature medie anche perché abbiamo ancora a disposizione sul pianeta una quantità di combustibili fossili più che sufficiente ad alimentare il mondo ben oltre il 2052 anche se a costi più elevati di quelli attuali in quanto i combustibili pur disponibili presentano maggiori difficoltà di estrazione. E’ ipotizzabile che i combustibili fossili verranno col tempo sostituiti dalle rinnovabili; tuttavia questo passaggio avverrà in maniera graduale e comunque non in modo definitivo almeno sino a quando i costi delle energie amiche del clima si saranno abbassati. Nel 2052 – ecco la previsione - più della metà dei consumi mondiali di energia saranno ancora coperti da fonti fossili. Sul piano dell’efficienza energetica nel frattempo avremo fatto passi avanti anche se ancora non definitivi: circa un 30% in più rispetto ad oggi.

Se l’umanità continuerà a bruciare carbone, petrolio e gas fossili secondo il mix attuale, le emissioni di CO2 derivanti dalla produzione di energia cresceranno del 50% entro il 2052, il che potrebbe significare un aumento medio delle temperature terrestri di ben oltre i 2 °C e molto più elevato dopo quella data. Secondo Randers però questo non si verificherà. Il consumo di combustibili fossili nel 2052 sarà in declino, il contributo del nucleare in diminuzione ed il vero vincitore saranno le rinnovabili che, assieme, nel 2050 dovrebbero raggiungere circa il 37% della torta energetica. Il passaggio verso le rinnovabili sarà in parte rallentato dall'esistenza di una soluzione transitoria assai economica: la sostituzione del carbone col gas, (ndr.: in particolare lo shale gas, di cui riparlo più avanti) soluzione migliorativa (due terzi di CO2 in meno prodotti) ma non definitiva. Anche il nucleare si avvierà verso un lento ma inesorabile tramonto, secondo Randers, sostanzialmente a causa di due fattori: gli eccessivi costi di realizzazione delle centrali ed il pericolo di possibili attentati terroristici influiranno ancor più del timore sulla scarsa sicurezza degli impianti.

Lo sviluppo delle fonti rinnovabili deriverà soprattutto dall'eolico off shore nei mari e dai pannelli solari collocati nelle zone desertiche o, in modo invisibile, sui tetti degli edifici, integrati da biomasse ottenute da piantagioni specificamente coltivate su terreni degradati.

Le emissioni di CO2 aumenteranno fino a raggiungere il picco nel 2030 per poi iniziare a diminuire. Secondo il nostro scienziato norvegese le emissioni mondiali di CO2 derivanti dall'utilizzo di energia nel 2052 saranno un buon 40% più alte delle emissioni globali del 1990. Tuttavia inizieranno a diminuire ed è ipotizzabile che si arrivi per quell'epoca a pareggiare il livello di emissioni odierno. Di certo però, il mondo avrà perso l’occasione per contenere l’aumento del riscaldamento globale sotto i 2°C concordati a livello internazionale. L’aumento della temperatura media nel 2052 sarà di oltre 2 °C in tutto il pianeta.

Come conseguenza dell’aumento medio delle temperature nei prossimi decenni l’umanità sperimenterà un numero crescente di impatti climatici. Assisteremo con sempre e progressiva maggiore frequenza ad eventi meteorologici estremi (alluvioni, siccità, frane, tornado e uragani, oltretutto in luoghi atipici), allo sbiancamento delle barriere coralline, alla morte di vaste porzioni di foreste, ad infestazioni di insetti. Senza parlare dell’effetto più ovvio: la fusione del ghiaccio artico, la riduzione dei ghiacciai e l’aumento del livello medio dei mari di circa 30 centimetri. Infine assisteremo allo spostamento di circa 100 chilometri verso i poli delle zone climatiche ed all’espansione dei deserti in nuove aree ai tropici.

Cibo e Impronta ecologica verso il 2052
Un’altra delle domande cruciali è quella: avremo cibo a sufficienza? La risposta è: “PROBABILMENTE SI’”, almeno fino al 2052. La domanda di cibo in realtà non aumenterà quanto si teme per una serie di ragioni: la popolazione mondiale sarà più numerosa dell’attuale ma meno di quel che ci attendevamo; anche se tante persone povere mangeranno meglio di quanto facciano oggi, molti ricchi consumeranno molta meno carne rossa. Ma saranno ancora molti quelli che continueranno a morire di fame. Assisteremo ad una sempre maggiore diffusione degli OGM perché essi aiuteranno a incrementare i raccolti nelle regioni troppo aride o troppo umide e l’umanità accetterà i rischi che gli OGM possono comportare nel lungo periodo a fronte dei benefici ottenibili nel breve. L’agricoltura, man mano che ci avvicineremo al 2052, sarà sempre più colpita dal cambiamento climatico. Assisteremo contemporaneamente a due effetti contrapposti. L’aumento di CO2 in atmosfera favorirà una crescita più rapida ovunque delle piante ma al contempo l’innalzamento delle temperature causerà l’effetto contrario (con conseguente perdita di produttività del terreno), almeno nelle zone che saranno più colpite dal progressivo inaridimento. Parte dei terreni verrà utilizzata per la produzione di biocombustibili a scapito della produzione agricola e questo causerà un aumento del prezzo del cibo. Mangeremo sempre più carne bianca. (Occorrono circa 7 Kg di grano per produrre un Kg di carne rossa, mentre ne bastano 2 per un chilo di pollo). Mangiare meno sarà considerato più raffinato, almeno tra le popolazioni benestanti. Il pesce di alta qualità, specie quello non proveniente da acquicoltura, finirà solo nei piatti dei più ricchi.

L’Impronta Ecologica dell’umanità è praticamente raddoppiata dal 1970 a oggi. Nel 2010 essa era già del 40% superiore alla capacità di carico del pianeta. In altre parole l’umanità stava e sta già occupando 1,4 pianeti per il proprio utilizzo di grano, carne, legna, pesce, spazio urbano ed energia. Qualcuno si chiederà come sia possibile. L’attuale superamento è giustificabile dal fatto che l’impronta include nel suo conteggio anche la quantità di foreste che sarebbe necessaria per assorbire tutta la CO2 che viene emessa per la produzione di energia. Ma questo territorio non esiste più e la CO2 non viene assorbita del tutto dalle piante finendo con l’accumularsi in atmosfera. La quantità di foreste che sarebbe necessaria è circa il doppio di quella attualmente disponibile. Come conseguenza stiamo sperimentando un graduale e insostenibile (anche se lento) riscaldamento del pianeta. A questo punto ci restano solo due strade: la riduzione gestita oppure il collasso naturale. Quando probabilmente sarà ormai troppo tardi per evitare seri danni e di fronte ad eventi meteorologici sempre più frequenti ed estremi anche la maggioranza degli individui della nostra specie arriverà alla conclusione che è necessario un radicale cambiamento delle nostre abitudini.

La quantità di terra non utilizzata dagli uomini si ridurrà drammaticamente fino ad arrivare a meno del 20% nel 2052. La disponibilità pro capite di natura precipiterà dagli 1,2 ettari globali a persona nel 1970 a 0,3 ettari  pro capite nel 2052 (il 75% in meno!). La natura indisturbata sarà limitata alle aree protette dove cercherà di sopravvivere ma con non poche difficoltà. Infatti nemmeno nei recinti di un parco nazionale la flora e la fauna saranno in grado di difendersi dal cambiamento climatico che nel frattempo starà spostando gli ecosistemi verso il nord e il sud dei rispettivi emisferi. A distanza di qualche decina di anni gli ecosistemi si saranno spostati fuori dai confini del parco. O sulle alture che dominano il parco. Nei prossimi 40 anni le zone climatiche si muoveranno verso i poli di circa 5 km all’anno e su per le montagne di circa 5 metri all’anno. In 40 anni cioè assisteremo a spostamenti di 80 Km a nord ( o a sud a seconda dell’emisfero) e di 200 metri in altitudine.

Riflessioni sul futuro che attende le nuove generazioni
Sulla base di queste previsioni Randers, nella seconda parte del suo studio, cerca di analizzare le principali conseguenze che si avranno per l’umanità (in termini di abitudini e comportamenti) che - ed è questa in fondo la principale buona notizia - nonostante tutto, sopravvivrà.

Così come l’età della pietra non è terminata per mancanza di pietre, l’era dei combustibili fossili non finirà per la mancanza di petrolio, gas o carbone. Semplicemente gli esseri umani non ne avranno più bisogno: risparmieremo sull’utilizzo delle risorse, aumenteremo la nostra efficienza energetica ed il consumo di energie fossili non crescerà perché sfrutteremo di più le rinnovabili. L’abbandono dei combustibili fossili però non avverrà con la necessaria rapidità utile ad evitare il riscaldamento del pianeta. Perciò dovremo affrontare i problemi che ne deriveranno. L’umanità cercherà di aumentare gli investimenti annuali in misure di protezione: per riparare i danni subiti ad esempio da uragani e alluvioni, per adattarsi (ad es. costruendo nuove dighe per contrastare l’aumento del livello del mare) oppure per sviluppare nuove tecnologie (ad esempio l’energia solare oppure il CCS, il sistema di stoccaggio dell’anidride carbonica nel sottosuolo). Senza dubbio questi investimenti ridurranno i danni, faranno incrementare il PIL mondiale, ma certo non incrementeranno i consumi e questo rappresenta l’altra buona notizia: un tasso di crescita inferiore ridurrà l’impatto dell’umanità con i limiti del pianeta.

Sul piano politico la questione principale del nostro futuro non consisterà nel risolvere i problemi che ci troveremo di fronte, ma piuttosto nel trovare l’accordo per farlo. Secondo Randers il mondo sarà infatti sufficientemente stupido da posticipare le azioni necessarie a causa dell’interesse a breve termine di coloro che lo governano, ovvero le maggioranze democratiche ed il sistema capitalistico.

Perderemo con molta probabilità le barriere coralline, la taiga e le foreste pluviali con tutta la loro biodiversità, ma noi esseri umani sopravviveremo anche se in un mondo diverso da quello attuale.
Sul piano economico assisteremo alla nascita di una nuova egemonia a scapito degli Stati Uniti: quella della Cina. Il passaggio della leadership mondiale dagli Stati Uniti alla Cina avverrà senza conflitti militari e piuttosto pacificamente. Nel 2052 la Cina avrà una popolazione tre volte e mezzo più grande di quella degli USA, la sua economia sarà due volte e mezzo più sviluppata e la produzione e i consumi procapite dei cinesi supereranno quelli americani di oltre il 70%. La Cina sarà la forza trainante del pianeta, secondo Randers.   La Cina possiede già 1.000 miliardi di dollari del debito pubblico americano. Essa possiede inoltre abbastanza carbone e gas da scisti per far girare la propria economia in questa fase di transizione. I gas da scisti o shale gas sono considerati la nuova frontiera nel campo dell’energie fossili. Grazie a nuove tecniche estrattive oggi è possibile estrarre da particolari tipi di rocce (scistose, appunto) il gas imprigionatovi. Le riserve accertate di questo gas, in prevalenza metano, sono estremamente abbondanti (nei soli USA ammonterebbero a ben 23.000 miliardi di metri cubi) e tali da garantire una relativa autonomia energetica a buon mercato per i Paesi che le possiedono. Ma la Cina possiede anche una comprensione dei rischi climatici tale da poter lavorare in anticipo per limitare i danni, una sufficiente tradizione di indipendenza ed un sistema di governo centralizzato e sufficientemente autoritario da agevolare la rapidità di certe scelte. “Fare di più con meno” sarà il mantra della crescita cinese, volta a perseguire l’obiettivo degli ultimi 2.000 anni: essere autosufficiente e indipendente dai barbari che vivono fuori dai propri confini.

Gli americani, allora, come reagiranno? Senza grandi eccessi, semplicemente perché avranno per quell’epoca sufficienti risorse interne da garantirsi a loro volta l’autosufficienza, anche se a discapito della leadership internazionale. Si comporteranno un po’ da nobili decaduti che conservano tuttavia risorse sufficienti a vivere più che decorosamente anche se non più con i fasti e gli eccessi di un tempo. Si troveranno cioè a ricoprire il ruolo dell’Europa dopo le due guerre mondiali: saranno un paese un po’ più provinciale ma comunque abbastanza soddisfatto di sé. Sia la Cina che gli Stati Uniti saranno colpiti dai cambiamenti climatici, ma entrambi i paesi sono talmente estesi da comprendere anche territori che verranno colpiti relativamente meno.

Debito e Pensioni, come reagiranno le nuove generazioni?
Nel mondo ricco, proprio quella generazione che ha creato un gigantesco debito nazionale e ha dato vita ad un enorme sistema pensionistico (privo della necessaria copertura economica) sta per andare in pensione. Randers nutre forti dubbi sul fatto che le nuove generazioni accettino in futuro di sostenere questo fardello e pagare debito e pensioni. Esse non potranno cioè essere fisicamente costrette a farlo se non lo vorranno ed in questo caso i più anziani potranno fare ben poco. Alcuni debiti non verranno mai ripagati e una quota parte delle pensioni semplicemente finirà per non essere accreditata sui conti correnti degli interessati. (ndr: a tale proposito forse varrebbe la pena di rivalutare, almeno come italiani, la tanto vituperata riforma Fornero).

Consigli per le nuove generazioni
Ribadito che la società globale dovrebbe innanzitutto accrescere l’efficienza energetica, passare alle energie rinnovabili, interrompere la distruzione delle foreste e realizzare impianti di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS), ma che il problema delle soluzioni climate-friendly è che attualmente esse sono più costose della soluzione più economica: non fare nulla e continuare come se niente fosse – ragion per cui ancora procederemo a rilento verso i nuovi paradigmi - lo scienziato norvegese, a chiusura della sua analisi, avanza alcuni suggerimenti tra i quali i principali sono i seguenti:
-          Imparare a vivere in un appartamento situato in ambiente urbano (vivere in luoghi ameni ed isolati sarà in futuro sempre più difficile e costoso);
-          Investire nell’elettronica d’intrattenimento ed imparare ad amarla (le immagini diverranno tridimensionali e forse anche gli odori saranno aggiunti all’esperienza); è lecito chiedersi inoltre, secondo l’autore, se in futuro avremo ancora voglia di sobbarcarci lunghi e costosi viaggi quando potremo sperimentare praticamente quasi tutto standosene comodamente seduti nel divano di casa (probabilmente anche i viaggi turistici per ammirare i capolavori dell’arte nei grandi musei saranno sostituiti da comode guide multimediali in 3D che oltretutto ridurranno di molto l’impronta ecologica di un vero viaggio);
-          Dato che ormai l’umanità sta eliminando la natura incontaminata dal pianeta: evitare di insegnare ai nostri figli ad amare qualcosa di cui non potranno mai godere e, se proprio amiamo la biodiversità e le bellezze del mondo, andare a visitarle subito e comunque prima che sia troppo tardi;
-          Cambiare residenza scegliendo un luogo e una nazione che in futuro siano meno esposti di altri agli effetti del cambiamento climatico (Nord Europa, Cina e Canada, i suggerimenti principali);
-          Scegliere una professione nel campo dei servizi o dell’assistenza, oppure buttarsi nel settore dell’efficienza energetica o delle energie rinnovabili;
-          Incoraggiare i propri figli a studiare la lingua cinese;
-          Imparare a convivere con imminenti disastri ambientali;

Che fare, allora?
Alla luce di quanto sopra, ecco di cosa proverò a convincere i miei figli: trasferirsi a Oslo a vivere in un appartamento di un condominio ad alta efficienza energetica, parlare correntemente il cinese e mettere al mondo al massimo un figlio al quale mostrare i capolavori degli Uffizi grazie ad un programma tridimensionale sul televisore di casa in Norvegia senza il bisogno di venire di persona a Firenze. Quanto alla professione da scegliere, credo che avrò già sufficienti sensi di colpa così, senza bisogno di influenzare anche questa loro scelta (sempre che siano così fortunati da poterla fare!). Facciano quello che più li rende felici, almeno in campo professionale.
Qualcuno poi potrebbe chiedermi: e tu, invece?
Sto scrivendo queste righe all’ombra di un boschetto di macchia mediterranea sul litorale tirrenico della Toscana, a pochi passi dal mare. Non solo mi sembra paradossale  che per colpa di scelte scioccamente e troppo a lungo procrastinate, tutto questo un giorno possa non esistere più, ma aborrisco l’idea stessa di poter abbandonare e non poter più immergermi in tanta pace e bellezza.
No, io da qui non mi muovo. Piuttosto aspetterò che sia il mare a portarmi via con sé.

Michele Salvadori




2 commenti:

Daniela ha detto...

Ottima recenzione, bravo michele.

Daniela ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.