martedì 31 marzo 2015

"La raccolta differenziata" di Daniele Fortini e Nadia Ramazzini

E’ uscito da pochi giorni un libro che ho trovato particolarmente interessante: “La raccolta differenziata” di Daniele Fortini e Nadia Ramazzini (Edizioni Ediesse, €. 15,00).


Il tema potrebbe sembrare arcinoto, e dunque potrebbe venire da obiettare: “Ormai sui rifiuti, sappiano tutto…”. In realtà, leggendolo, a meno di non essere un esperto della materia, si scoprono molte informazioni utili a raggiungere un quadro davvero esaustivo della problematica.
I due autori, sono innanzitutto due addetti ai lavori (Daniele Fortini, oggi è presidente di AMA Roma SpA ed ha una grande esperienza nelle aziende pubbliche di gestione dei rifiuti, oltre ad essere stato per 9 anni presidente di Federambiente; Nadia Ramazzini ha lavorato per dieci anni per A2A ed oggi collabora con la Fondazione Rubes Triva, un ente che si occupa della formazione e della sicurezza dei lavoratori delle aziende d’igiene ambientale) che hanno messo a frutto le loro rispettive esperienze sul campo per realizzare un testo di grande concretezza, equilibrio ed obiettività nell’affrontare la questione rifiuti, il tutto redatto con uno stile che consente facilità di lettura anche a chi non è un esperto del settore.

Nella sua prima parte il testo ripercorre la storia della gestione dei rifiuti partendo dai primi netturbini dell’antica Grecia, dove, storicamente, nel 320 a.C. la Costituzione di Atene stabilisce di affidare a dei “coprologi” la pulizia delle strade dai rifiuti che dovevano essere seppelliti in discariche esterne alla città, per passare all’antica Roma dove Giulio Cesare, nell’”Editto di Eraclea” bandì un primo appalto pubblico “per l’igiene dell’Urbe” che prevedeva non solo la raccolta dei rifiuti ma anche una loro prima selezione tra quelli da recuperare, quelli da bruciare e quelli da interrare (tutte operazioni all’epoca a cura degli schiavi), per giungere al Rinascimento dove in città quali Milano, Firenze, Genova e Venezia fu fatto obbligo ai proprietari delle case di spazzare e lavare la strada davanti alle loro abitazioni e di consegnare i rifiuti ad un apposito servizio che li avrebbe allontanati dalla città. Ma è solo con l’avvento della Rivoluzione industriale che i rifiuti diventano un vero problema e s’inizia ad affrontare la questione con una logica diversa. E’ a Vienna che nel 1839 vien introdotto l’obbligo della raccolta dei rifiuti alle famiglie ed ai commercianti imponendo la consegna ai contenitori dislocati su carri trainati da cavalli, prima, e a partire poi dal 1918, sempre a Vienna vengono posizionati dei contenitori fissi lungo le strade regolarmente svuotati dal servizio pubblico. Sarà sempre a Vienna dove per la prima volta, a partire dal 1939, verrà imposta una tassa comunale per lo smaltimento dei rifiuti, ed ancora a Vienna, nel 1973, diverrà operativo l’inceneritore di Spittelau per la combustione dei rifiuti urbani.
Vienna, l'inceneritore di Spittelau

Dopo un ampio inquadramento sul piano giuridico che illustra le normative passate e presenti nel campo (dalle Direttive europee e le normative sui rifiuti nazionali e locali) e che giunge ad analizzare la gerarchia di gestione dei rifiuti così come prevista dalla Direttiva 2008/98/Ce (prevenzione – preparazione per il riutilizzo – riciclaggio – recupero di altro tipo – smaltimento), ed illustra gli obiettivi al 2020 (preparazione per il riutilizzo ed il riciclaggio di carta, metalli, plastica e vetro almeno al 50% in peso), Fortini e Ramazzini mettono in luce come: “…l’Italia è l’unico paese europeo nel quale le politiche di recupero di materia dai rifiuti hanno, come esclusivo punto di riferimento, le percentuali di raccolta differenziata e non quelle di effettivo recupero.”

Ma questa appena descritta, leggendo con cura il libro, risulterà essere solo la prima di una lunga serie di contraddittorietà che caratterizzano il mondo della gestione dei rifiuti (in Italia e nel mondo) a cominciare dalla definizione stessa di rifiuto. Ciascun paese, europeo e non, ad esempio, considera “rifiuti urbani” quantità e tipi di scarti differenti a seconda della propria organizzazione industriale del ciclo di trattamento e smaltimento. In Danimarca gli scarti di piccole manutenzioni edilizie domestiche sono assimilati ai rifiuti urbani, pertanto la produzione pro capite di rifiuti dei danesi risulta tra le più alte in Europa; In California (USA) sono addirittura considerati “municipali” tutti i rifiuti prodotti nel confine della città, cosicché la produzione pro capite degli abitanti di San Francisco supera i 2.500 kg per abitante all’anno! (500 kg, la media europea, 400kg. quella del Giappone, 300 kg. quella della Russia). Giungendo all’Italia Fortini ci illustra il paradosso di un sistema caratterizzato dalle 20 Regioni italiane con venti differenti Piani Regionali di gestione dei rifiuti e con i suoi quasi 9.000 Comuni con migliaia di regolamenti comunali ciascuno diverso l’uno dall’altro.

La parte centrale del volume è naturalmente dedicata al tema specifico della differenziazione dei rifiuti partendo da un’accurata descrizione del sistema Conai sorto con l’approvazione del Decreto Ronchi ed all’analisi delle singole tipologie di rifiuto: dal vetro alle cellulose, dai metalli ai rifiuti biodegradabili, dai RAEE alle plastiche, evidenziando come proprio questa ultima categoria sia ad oggi quella che presenta le maggiori problematiche di recupero presentando essa, per circa il 45% del suo totale, oltre 400 polimeri differenti spesso accoppiati o saldati con altre materie (cellulose, resine, gomme, ecc.) da cui è talora impossibile separarli e che dunque presenta, tranne rare eccezioni, (ndr. vedasi l’esperienza più che positiva della Revet Recycling di Pontedera), come unica alternativa quella di essere destinata all’incenerimento.

Nell’analisi merceologica dei rifiuti si denunciano alcuni casi emblematici della complessità del quadro della gestione dei rifiuti quali ad esempio quelli dei mozziconi di sigarette.

Secondo l’Istituto Superiore di Sanità in Italia vivono oltre 10 milioni di persone che ogni giorno consumano mediamente 15 sigarette di tabacco che significano miliardi di cicche all’anno. Nella sola città di Roma (5% della popolazione italiana) ogni giorno vengono gettate oltre 2 miliardi e mezzo di cicche di sigaretta (ogni cicca impiega 2 anni al suolo e ben 5 anni in mare per degradarsi). Quantificando: nessuna statistica evidenzia la produzione di 116.000 tonnellate all’anno di mozziconi di sigaretta, la gran parte dei quali non è immaginabile possa essere raccolta in modo differenziato…

Ma uno dei concetti chiave che emergono da questo prezioso volumetto è che i rifiuti urbani vanno inseriti in un ciclo industriale. Affermare cioè che la sola raccolta differenziata rappresenti la soluzione del problema e la conseguente scomparsa di inceneritori e discariche è un’illusione. Al contempo gli autori sollecitano l’osservanza dei buoni comportamenti ecologisti ed invitano il mondo ambientalista e del volontariato a diffondere, mediante campagne mirate, la consapevolezza e la responsabilità di ciascuno di noi su questo tema. In proposito si afferma l’importanza di realizzare e poter disporre di infrastrutture ed impianti che assolvano la funzione essenziale di recuperare materia ed eliminare o minimizzare la pericolosità di rifiuti non recuperabili. Accade ancora infatti in molte realtà italiane che popolazioni encomiabili nei risultati raggiunti per la raccolta differenziata respingano però la realizzazione ad esempio d’impianti di compostaggio o di valorizzazione dei rifiuti riciclabili vicino alle loro abitazioni.

Nella seconda parte del testo vengono ripercorse le tradizioni secolari del nostro paese nella raccolta differenziata dei rifiuti fino alle evoluzioni che hanno portato all’odierna organizzazione. Fu a Modena, nel 1973, che la locale azienda municipalizzata iniziò per prima a raccogliere in modo differenziato i rifiuti urbani riciclabili. Di questa evoluzione causa-effetto principale è stato senza dubbio lo sviluppo economico ed il cosiddetto “eccesso consumistico” che ha portato ad una vera e propria proliferazione della produzione dei rifiuti dal secondo dopo guerra ad oggi.
Un sistema di raccolta a cassonetti stradali

Il testo mette a confronto i principali sistemi di raccolta da quella a cassonetti stradali al sistema porta a porta spinto alla raccolta con sistema a tariffa puntuale evidenziando i pro e i contro di ciascuno e quale sia da preferire a seconda del contesto locale dove ci si trova ad operare. I fattori che concorrono al successo di un efficiente sistema di raccolta differenziata dei rifiuti sono molti e soprattutto viene evidenziato dagli autori come non esista un modello vincente unico ed applicabile in ogni contesto. 
In generale si afferma che per i Comuni fino a 50.000 abitanti il Porta a Porta spinto può essere la soluzione più proficua mentre per le città medio-grandi è preferibile l’adozione di un Sistema misto (porta a porta + cassonetti stradali). Ma gli stessi autori ribadiscono che tale regola non sempre è efficace ovunque. Fondamentale risulterà allora la pianificazione della gestione dei rifiuti che parta da una preliminare conoscenza del territorio in tutti i suoi aspetti fisici, economici e sociali. Anche l’incidenza del clima e delle condizioni meteo avrà una valenza non secondaria. E naturalmente, altrettanto fondamentale sarà il coinvolgimento e la partecipazione attiva della cittadinanza al raggiungimento degli obiettivi previsti. Anche il bilancio economico della gestione dei rifiuti avrà un peso dirimente nella scelta delle azioni. Troppo spesso infatti avviene che cittadini ma anche amministratori rimangano delusi perché, a fronte di elevati obiettivi percentuali raggiunti, si registrano aumenti rilevanti nei costi anziché risparmi tributari o tariffari.

Nella terza parte si passa ad analizzare più direttamente il sistema impiantistico confrontando i pro ed i contro delle varie tipologie: dagli Impianti di compostaggio (aerobico ed anaerobico), agli Impianti di Trattamento Meccanico-biologico (TMB), a quelli di Tritovagliatura (STIR), alle discariche fino a giungere ad affrontare la questione più delicata, quella dell’incenerimento dei rifiuti. 

Una discarica di rifiuti

Si dichiara, in proposito, come “in fondo, a ben vedere, non sono certo discariche e inceneritori a compromettere gli equilibri della natura terrestre, nel momento in cui circolano quasi un miliardo di veicoli inquinanti, sbuffano miliardi di camini inquinanti, pulsano milioni di fabbriche. E cosa dire delle centrali atomiche? E le guerre? ... Poche centinaia di super-controllati inceneritori, però, fanno perdere il sonno a tanta gente. Per qualcuno la loro chiusura è una ragione di vita, l’esorcismo del male…E poco importa se in ambiente urbano il massimo apporto all’inquinamento atmosferico…è rato dal traffico veicolare (41%), nonché dai processi di produzione (24%) e generazione di energia (17%)”. 
Ma altresì sarebbe ingeneroso non includere in questo commento come il testo non sia un elogio incondizionato a favore dell’incenerimento dei rifiuti. Fatte le affermazioni sopra riportate Fortini e Ramazzini ribadiscono con altrettanta sicurezza come sia indubbio che gli inceneritori non rappresentino altro che una soluzione temporanea, di passaggio, nell’attesa che si giunga di qui a qualche decennio ad un sistema industriale in grado di progettare e costruire, ad esempio, tutte le singole componenti di un’automobile in modo che - alla dismissione dell’auto al termine del suo ciclo di vita - esse possano essere tutte o per lo meno la gran parte di esse recuperate e riciclate (oggi circa il 30% invece finisce all’incenerimento per l’impossibilità di separarle). L’incenerimento non può infatti rappresentare una soluzione finale del problema nel momento in cui distrugge della materia che invece potrebbe ancora essere recuperata e reimmessa in un ciclo di produzione.

La comunicazione della Commissione europea sull’economia circolare, adottata dal Senato nel Novembre 2014, definisce l’obiettivo dell’Europa a “zero rifiuti” inserendolo in quello più ampio della promozione di un’economia circolare, in cui i rifiuti sono considerati materie prime secondarie dalle quali ottenere prodotti al pari di quelli ottenuti dalle materie vergini.

Pertanto, concludono, gli autori “Rispetto alle discariche per rifiuti “tal quali”… a molti appare che l’opzione dell’incenerimento sia preferibile; ma, rispetto ad una progressiva capacità di generare minori quantitativi dei rifiuti e di poterli massicciamente recuperare come materia, il recupero di energia non può che essere considerato una tecnica residuale, dedicata unicamente a quegli scarti che non potranno essere altrimenti recuperati. Parlarne senza isterismo e senza conformismo è doveroso, nonostante il termine “incenerimento” sia divenuto sinonimo di una pratica quasi diabolica. Se in Europa funzionano 391 inceneritori di rifiuti (dati E-Prtr anno 2012) e 47 sono quelli progettati per il futuro, mentre crescenti quantitativi di rifiuti urbani pretrattati finiscono nei forni dei cementifici o delle centrali elettriche, non è certo un esercizio ginnico il confrontarsi per capire cosa davvero accade e cosa può o dovrebbe accadere.”
D’altro canto viene ricordato anche come esistano scuole di pensiero diverse come quella statunitense che tende a preferire all’incenerimento le discariche privilegiando cioè la teoria del cosiddetto “landfill mining” col convincimento che le materie ora rifiuti un giorno potrebbero divenire, a causa della penuria di risorse naturali, una risorsa importante. Va aggiunto però che, a differenza dell’Italia gli USA hanno una disponibilità di territorio che consente loro di realizzare discariche in aree desertiche, cosa da noi irrealizzabile…In Italia, invece, al momento non c’è nessuno che consideri una miniera gli 8 milioni di ecoballe dislocate in Campania!

Insomma, questo testo, a mio parere, dovrebbero leggerlo in tanti, a cominciare da molti dei nostri amministratori. Se non il libro “mastro” sul tema della gestione dei rifiuti come recita la sua sovracoperta, esso è senza dubbio un libro utile a raggiungere un grado di consapevolezza maggiore sul mondo e sulle grandi problematiche legate alla gestione dei rifiuti.

Michele Salvadori


martedì 20 gennaio 2015

"Sottomissione" di M. Houellebecq

“Vivere senza leggere è pericoloso, ci si deve accontentare della vita e questo comporta notevoli rischi”.
E’ così che ho conosciuto qualche anno fa Michel Houellebeck, attraverso la lettura di uno dei suoi romanzi più celebri, “Piattaforma al centro del mondo”.

Considero Houellebecq uno dei migliori narratori contemporanei per la sua duplice capacità di trasportare il lettore in un mondo parrallelo ed assolutamente realistico, riuscendo al contempo a farlo riflettere proprio sulla realtà da cui cerca di allontanarsi: evadere riflettendo, distrarsi approfondendo, fuggire per tornare più attenti e consapevoli alla vita reale. Questi i doni ed i meriti della narrativa di Houellebecq e queste le ragioni per cui, lo confesso, adoro questo scrittore francese.
I recenti e tragici eventi di Parigi hanno contribuito ad accrescere notevolmente la notorietà di questo scrittore francese che con ogni probabilità sarebbe altrimenti rimasto conosciuto solo ai grandi appassionati di narrativa che, com’è noto, in Italia e non solo in Italia, vanno ormai progressivamente calando di numero ogni anno.

Nel suo nuovo romanzo “Sottomissione”, uscito in Francia proprio nei giorni dell’attentato alla rivista di satira “Charlie Hebdo” ed in Italia la scorsa settimana pubblicato dalla casa editrice Bompiani (€. 17,50, pg. 252), Houellebecq preconizza l’ascesa di una nuova forza politica, la Fratellanza Musulmana, che in un futuro assai prossimo, il 2022, riesce a vincere le elezioni presidenziali francesi, (ma di lì a poco accadrà la medesima cosa anche nel vicino Belgio), causando di fatto uno vero e proprio stravolgimento dei principali usi e costumi della società dei nostri “cugini” d’oltralpe.

Le fasi di questa drastica mutazione della società francese sono descritte in maniera attenta, graduale e dettagliata, ma soprattutto tali da risultare assolutamente credibili e realistiche: l’avanzata politica, in termini di consenso popolare, del Fronte Nazionale guidato da Marine Le Pen ed il timore di una vittoria, e della conseguente elezione di un presidente appartenente all’estrema destra francese, inducono la sinistra moderata a cercare un accordo proprio con quello che nel frattempo è divenuto il secondo partito in Francia, quello musulmano (giunto ormai alla soglia del 20% dei consensi). Il candidato musulmano alla presidenza della Repubblica, Ben Abbas, accetta l’alleanza con la sinistra moderata in cambio però della certezza di poter occupare, in caso di vittoria, alcuni ruoli strategici del futuro organigramma di governo del Paese; tra questi, innanzitutto, la guida del Ministero dell’Istruzione, pretendendo che si adottino delle radicali trasformazioni nel campo dell’educazione dei giovani. In caso di vittoria della coalizione musulmano-socialista tutte le Università pubbliche saranno “islamizzate”. A cominciare dalla più celebre università francese, la Sorbona, dove solo docenti di comprovata fede musulmana, da quel momento in poi potranno continuare ad insegnarvi. Gli altri, o si convertiranno all’ Islam oppure potranno continuare ad insegnare solo in Università private.

E’ quanto puntualmente si verifica: Il popolo francese, e di lì a qualche mese anche quello belga, di fronte alla scelta tra un governo di estrema destra ed uno moderato sia pure di matrice islamica, sceglie la seconda via.
La vicenda viene descritta ed ha per protagonista Francois, un professore universitario della Sorbona, dai gusti ed abitudini tutt’altro che morigerate. Quarantenne, scapolo, amante delle giovani studentesse ventenni che frequentano i suoi corsi di letteratura, puntualmente, il nostro professore cambia compagna all’inizio di ogni nuovo anno accademico, infatuandosi perdutamente della prima minigonna che incrocia nelle aule universitarie. Egli conduce uno stile di vita sregolato e, ateo e libertino convinto, è terrorizzato dall’idea stessa di creare attorno a sé una qualunque stabilità affettiva, una famiglia propria, dei figli.

Dopo la vittoria alle presidenziali del fronte moderato, il professore viene di fatto sospeso dal suo incarico e decide di abbandonare Parigi per alcuni mesi per un lungo viaggio per la Francia. Al suo rientro scoprirà di essere stato pensionato anticipatamente ma soprattutto troverà una città profondamente cambiata. Il professore nota con orrore che è stato del tutto abbandonato, ad esempio, l’uso di abiti che scoprano eccessivamente il corpo femminile. Le donne che si muovono per la città hanno adottato indistintamente i pantaloni ed ormai tendono a muoversi quasi tutte solo con il volto coperto. Ma sono soprattutto i cambiamenti dei ruoli uomo/donna a contraddistinguere questa nuova fase storica della Francia. Il prevalere dell’ideologia islamica comporta un ridimensionamento del ruolo femminile che viene “incoraggiata” a tornare ad occuparsi esclusivamente della famiglia, consentendo di fatto una sorta di restaurazione della società patriarcale dove l’uomo, oltre ad esserne il vertice, torna ad essere l’unico che lavora. Sempre in ossequio alla dottrina islamica si diffonde nel paese la poligamia. Viene adottata la pratica da parte dell’uomo di avere almeno due-tre mogli scelte di diversa età anagrafica perché possano soddisfare le diverse esigenze del marito: una moglie in età più matura che si occupi della gestione della famiglia e della cucina dei pasti, una più giovane (addirittura non ancora maggiorenne in più casi) che invece soddisfi meglio le esigenze ed i piaceri sessuali del consorte. Viene del tutto scoraggiata la possibilità di una ascesa sociale della donna in campo lavorativo, impedendole addirittura la possibilità di frequentare gli studi universitari.
Ma ciò che più colpisce è il fatto che questo progressivo mutamento degli usi e costumi sociali si realizzi senza apparenti contrasti. Gli unici episodi di violenza descritti nel romanzo sono quelli che avvengono prima della vittoria musulmana nelle elezioni presidenziali francesi. Una volta che la Fratellanza Musulmana giunge al potere tutto sembra conseguire ed essere accettato dalla popolazione in maniera pacifica.
La “sottomissione”, che dà il titolo al romanzo, e che ne costituisce il messaggio più allarmante a mio parere, sembra non solo essere accolta senza drammi ma addirittura essere quasi auspicata.

Evito naturalmente di raccontare l’epilogo della storia ed il destino del protagonista, tuttavia gli spazi di riflessione che il romanzo apre sono davvero molteplici. C’è molto di non detto da parte dell’autore che però può essere supposto e che richiama il dibattito di questi giorni all’indomani delle drammatiche vicende parigine.

E’ noto che l’autore ha deciso di rinunciare alla promozione del libro, ma i contenuti di quest’opera ritengo siano più che sufficienti a stimolare riflessioni e domande. Prima della vicenda di “Charlie Ebdo” Houellebecq era stato paragonato ad un altro celebre scrittore, G. Orwell. Ma, a differenza di quanto Orwell immaginava nel suo “1984”, in “Sottomissione” il futuro sembra nascere come una storia già vecchia e superata dagli eventi della vita reale di questi giorni.
Gli interrogativi che il romanzo pone sono di difficile risposta ma evidenziano delle problematiche che necessitano, è evidente, delle riflessioni serie, articolate e profonde.
Nel libro di Houellebeck si lascia intendere come la conquista della Francia e poi quella del Belgio siano solo i primi passi di un progetto ben più vasto: l’obiettivo finale è quello di ricostituire una nuova entità che sia una via di mezzo tra due modelli, l’impero romano ed il califfato arabo, e che abbia naturalmente come riferimento la religione islamica.
Utopia? Le recenti dichiarazioni di alcuni esponenti dell’Isis farebbero presupporre che almeno gli intenti ci siano.

Allora, dobbiamo prepararci a diventare tutti musulmani? La libertà democratica e le forti responsabilità che ne conseguono ci hanno talmente usurato le menti che per noi è divenuto all’improvviso più rassicurante vivere sottomessi ad una volontà e ad una ideologia superiori? E soprattutto, proprio in nome della libertà e della democrazia siamo pronti, pur di evitare una nuova guerra e nuove violenze, ad assoggettarci di buon grado ad un volere intransigente?

Non sono in grado di dare risposte, tuttavia mi piace pensare che alla fine ci salveremo, o meglio, gli uomini saranno salvati e lo saranno proprio grazie alle donne.

Ravviso un punto debole nella vicenda immaginata da Houellebecq e questo punto è proprio il ruolo passivo delle donne. In “Sottomissione” sembra che il genere femminile finisca con l’adeguarsi e l’accettare passivamente questa sorta di regressione sociale a cui la religione musulmana le relegherebbe per una seconda volta nella loro storia. Considero questa ipotesi la vera illusione del romanzo.
Sappiamo bene come fenomeni di “ribellione” allo status quo millenario del ruolo femminile nella società stiano da tempo avvenendo anche nel mondo arabo e musulmano da parte delle donne. Impensabile a maggior ragione, dunque, questo tentativo di mutare drasticamente i costumi e le abitudini di una società dove da tempo il ruolo della donna è mutato, sia pure con tutti i limiti ed i distinguo che non debbono essere sottaciuti.

Sarà dunque il genere femminile ad innescare un’eventuale ribellione, saranno le donne il nostro vero antivirus contro ogni forma di totalitarismo?
Semmai un giorno anche prossimo dovessero verificarsi le ipotesi immaginate nel suo romanzo, sarà la donna, caro Houellebecq, a “salvare” l’uomo occidentale? E’ il mio auspicio.
Quanto a quest’ultimo, egli dovrà rassegnarsi in futuro ad avere un ruolo da comprimario? Temo proprio di sì. Del resto, ciò, in parte, sta già avvenendo. Ma, in fondo, all’uomo occidentale tutto questo andrà bene lo stesso; la birretta con gli amici e la partita di calcio della domenica in tv saranno assicurate, tutto il resto conta il giusto… o no?!


Michele Salvadori