sabato 20 dicembre 2014

"Una piccola (bella) storia romana"

Firenze, ore 6 di mattina, mi sto preparando ad uscire per recarmi alla stazione e prendere il Frecciargento per Roma. Accendo il cellulare e mi arriva un sms che mi informa che qualcuno mi ha chiamato dopo la mezzanotte di ieri.
Chi è che rompe a quell’ora?”- il mio primo pensiero.
Avranno sbagliato numero, mi dico. Sul treno per Roma tolgo la suoneria per evitare di disturbare gli altri viaggiatori, anche se questo tipo di attenzioni ormai 9 viaggiatori su 10 la ignora.
Giunto a Roma, mi accorgo che lo stesso numero che mi ha chiamato ieri sera dopo la mezzanotte mi ha richiamato di nuovo durante il viaggio. Inizio a preoccuparmi un po’. Lo richiamerò. Sono però di fretta; il treno è giunto a Termini in ritardo ed io debbo correre alla Conferenza degli Amici della Terra, adesso non ho tempo. Mi riprometto, appena avrò una pausa, di richiamare quel numero.
Giunto alla Conferenza, tolgo di nuovo la suoneria al mio cellulare per evitare di disturbare i relatori.
Attorno alle 10 do un’occhiata allo schermo del mio smartphone e che ci trovo? Di nuovo una chiamata da quello stesso numero. Deve essere una cosa importante se questa persona continua a cercarmi con tanta insistenza.
Decido di abbandonare la sala della conferenza per cercare di capire una volta per tutte di che cosa si tratti.
Proprio mentre sto uscendo dalla sala il mio cellulare suona di nuovo e di nuovo è quel numero.
Rispondo: “Pronto?”
“Pronto. Che sei Salvadori, te?”
“Si, sono io; con chi parlo scusi?”
“Che hai perso le chiavi dell’auto, per caso?”
“No, non mi pare, credo”. Vengo subito assalito da mille dubbi. Chiavi dell’auto perse? Non sarebbe purtroppo la prima volta che mi capita. Ma dove? La voce dall’altro capo del telefono ha un accento romano inconfondibile. Il tipo, dalla voce roca, insiste con le domande.
“Ma che sei professore, te? Insegni a scola?”
“No, proprio professore no, però in effetti mi capita ogni tanto…, ma perché, scusi?”
“Assieme alle chiavi dell’auto, ho trovato ‘na chiavetta e su sta chiavetta ce sta er nome tuo cor tu numero de telefono. Poi c’è un sacco de robba, lezioni sui rifiuti, se ho capito bene, possibbile?”
“Si, può darsi, ma dove le ha trovate, lei mi sembra che sia di Roma, io abito a Firenze.”
“L’ho trovate su un autobus a Roma a Barberini. Assieme alla chiavetta e alle chiavi dell’auto ce sta pure un mazzo de chiavi de casa, credo. Dimme un po’, ho bisogno de capì se davvero ste chiavi so’ tue. Com’è fatto er portachiavi delle chiavi de la machina?”
Le interrogazioni mi hanno sempre messo una certa ansia. Vengo colto alla sprovvista. Com’è fatto il portachiavi dell’auto, mica me lo ricordo!
“Aspetti un attimo, dunque, il portachiavi della mia auto…mi sembra che…”
“Oh, ma ste chiavi sso’ ttue o nun sso’ ttue? Ieri sera come sé tornato a casa si nun ci’avevi le chiavi de la machina e pure quelle de casa?!”
Io ieri ero a Roma, non ho usato l’auto, ho preso il treno, ma le chiavi di casa ce l’avevo altrimenti non sarei rientrato e pure stamani le ho usate per chiudere la porta appena dopo essere uscito.
“No, guardi, le chiavi di casa io ce l’ho, sono sicuro. Quelle dell’auto non lo so. Adesso provo a chiamare mia moglie ed a chiedere a lei, la chiavetta potrebbe essere davvero la mia. Posso fare questa verifica e poi la richiamo?”
“Vabbè! Aspetto che me richiami”.
Sono il solito sbadato che perde tutto. Mi affretto a chiamare mia moglie. “Pronto amore? Per caso sei a casa? Mi ha chiamato un tipo che dice di aver trovato ieri sera qui a Roma sull’autobus la mia chiavetta usb e due mazzi di chiavi, potresti controllare se ho lasciato a casa le chiavi della macchina?”
“Certo, controllo subito….No, veramente le chiavi dell’auto sono qui a casa.”
“Meno male. Grazie amore, baci. Poi ti racconto”
Mi affretto a richiamare il tipo.
“Pronto, no guardi io le chiavi dell’auto le ho a Firenze, dunque quelle che lei ha trovato non sono mie.”
“Però la chiavetta è tua, c’è tutta robba tua sopra, o no?!”
In effetti sembrerebbe proprio così.
“Senti, io so autista dell’ATAC, se vuoi riavere la tua chiavetta come preferisci fare?”
“Io sono a Roma anche oggi, se vuole potremmo fissare da qualche parte, nel pomeriggio sono in grado di liberarmi”.
“Va bbe’. Io ner pomeriggio faccio ‘r turno sur 664, me potresti raggiunge’ da quarche parte; ndove sstai a lavorà?”
Spiego al tizio, di cui ignoro perfino come si chiami, che mi trovo a Palazzo Rospigliosi, vicino al Quirinale. Mi rendo conto con una certa preoccupazione che lui invece di me sa già un sacco di cose: nome, cognome, indirizzo, numero di cellulare e, se ha la mia chiavetta, purtroppo molto altro. Su quella chiavetta, la mia unica chiavetta, ho copiato, quest’estate prima di partire per le ferie, tutte le password utili; può accedere non solo alla mia posta elettronica ma addirittura utilizzare pure le mie carte di credito! Vengo colto dal panico, anche se cerco di mascherarlo all’esterno. Non oso richiamare mia moglie per spiegarle la situazione.
Il tipo mi propone d’incontrarci dopo le 15 al capolinea del 664 a Largo Colli Albani.
“Prendi la metro A e scenni alla fermata Colli Arbani. Nda dove sei ora ce metti 5 minuti ad arrivà. Di fronte te trovi il 664. Io faccio l’autista su quella linea oggi pomeriggio. Aspettami lì che faccio i giri e prima o poi arrivo…”
Che faccio? Non credo di avere molte alternative. Perciò accetto.
Sono le 10,30 di mattina. Dovrò attendere almeno fino alle 15. Questa rischia di diventare una delle giornate più lunghe della mia vita…
Da quel momento conto i quarti d’ora, non riesco a seguire con attenzione il dibattito alla conferenza, la mia testa è altrove. Il mio primo pensiero va a questo tizio che mi ha chiamato. Chi è veramente, che vuole, che si aspetta da me? La polemica su Roma ladrona, sull’inchiesta “Mafia-Roma capitale” mi ronza nel cervello. Sti’ romani, tutta gente corrotta! Ora di sicuro questo tizio tenterà di spennarmi: “Arivoi indietro la tua chiavetta? Bhe, sopra c’è robba importante…Che famo?!”
Che faccio? Sulle prime penso di ringraziarlo dandogli 20 euro, basteranno? Oppure magari si offende…Troppo poche 20 euro. Troppo poche per il valore della chiavetta per me.
Cazzo! Ma tu guarda in che casino mi vado a cacciare per la mia sbadataggine!
Finalmente la mattinata si conclude ed arriva l’ora di avviarmi all’appuntamento.
Lavoro a Roma da poco più di un anno e, ora che ci penso, non ho mai preso la metro in questa città. Mi perderò? Sono sicuro di aver capito bene le indicazioni che mi ha dato. Più scendo le scale dell’ingresso della metro di piazza della Repubblica e più mi si sale l’ansia per le incognite che mi attendono.
Prendo la metro “A” ed arrivo alla stazione metro Colli Albani. Salgo in superficie e mi ritrovo in una piazza ampia, e caotica. La prima cosa che noto è la sporcizia, un po’ ovunque. Mi ricorda la classica periferia di molte delle nostre città. Ovunque mi giri vedo enormi palazzoni a 8-10 piani dall’aspetto trascurato. Ma dove sono capitato? Ma chi me lo ha fatto fare di venire fino a qui?
Di fronte a me la fermata capolinea della linea 664. Sono in largo anticipo ma decido comunque di ritelefonare al tizio per avvisarlo che io già ci sono.
“Pronto, sono Salvadori. Io sarei già al capolinea del 664, ho fatto prima del previsto”.
“Eh, però io nun sarò là prima de ‘n’ora…”
Un’ora? Cazzo! Come un’oraaa?! Ed io che ci faccio un’ora qui ad aspettartiii!
“Ah, va bene, pazienza. Non si preoccupi. In fondo è colpa mia, sono io che sono arrivato prima del previsto. Vorrà dire che mi faccio due passi…”
La voce dall’altra parte del telefono resta in silenzio per qualche secondo. Quel silenzio in qualche modo mi fa sentire per la prima volta questo sconosciuto un po’ più vicino. Non lo dice ma è come se provasse un po’ di dispiacere per me. Professò, povero te, un’ora ad aspettarme in quer posto di m….!
“Eh, guarda, io sto partendo di casa in questo momento, ma prima di un’ora nun gliela faccio ad esse là.”
“Va bene, ripeto, l’aspetto qui, magari mi faccia uno squillo appena arriva, d’accordo?”
E ora come diamine la passo quest’ora?
Inizio la perlustrazione. La giornata si è fatta calda, o forse è la tensione. Fatto sta che ho caldo e decido di togliermi il cappotto. Ma sono vestito in giacca e cravatta e mi accorgo subito che mi si nota un po’. Le persone per strada mi osservano. In giro c’è poca gente. Mi avvio in direzione del primo spazio verde che mi appare in lontananza. Attorno a me cassonetti della spazzatura straripanti ed immondizia abbandonata per terra. Una vecchia Ape arrugginita ed ormai senza ruote staziona abbandonata chissà da quanto tempo in un angolo della piazza. C’è un mercato rionale nei suoi pressi. Ma ormai sta chiudendo. La gran parte degli esercizi ha già tirato giù i bandoni. Decido di rimettermi il cappotto. Preferisco sudare un po’ ma dare meno nell’occhio. Assurdo. Non c’è quasi un’anima in giro, sono le 15 del pomeriggio. Mi si nota comunque.
Mi avvicino all’area verde. Area verde per modo di dire. Uno spazio largo 10 metri per 20 dove si trovano 3 pini, un prato incolto con l’erba alta 50 cm, (dentro la quale non oso neppure immaginare cosa si possa celare alla vista), naturalmente sporcizia ovunque e le due uniche panchine presenti sono parzialmente prive di assi. Ad una manca completamente la seduta, all’altra la spalliera. Chissà, magari uno s’è fatto la panchina a casa propria…
Penso a quel dirigente responsabile delle aree verdi di Roma che la recente indagine su Roma Capitale ha trovato in possesso di 500mila euro nascoste nella sua abitazione. Il denaro per sostituire due panchine, invece, quello non si trova…
Incrocio una ragazza che sta portando il cane a passeggio. Il cane si ferma a fare i suoi bisogni corporali lasciando sul selciato i suoi escrementi. La ragazza naturalmente si guarda bene dal raccoglierli. Chissà perché non lo trovo affatto strano. Del resto, anche se lo facesse, non servirebbe a molto visto il degrado che ci circonda. Decido di proseguire oltre, sperando di trovare un posto migliore dove potermi sedere a leggere qualcosa (porto sempre un libro con me, per fortuna) per ingannare l’attesa. La ricerca si dimostra vana per un po’ fino a quando trovo miracolosamente una panchina nei pressi di un’edicola per giunta aperta. Mi siedo lì, almeno non sono solo.
Trascorro circa mezz’ora, mi fermo ad acquistare una rivista all’edicola, dove trovo il titolare che, inaspettatamente, mi dà del lei e parla in maniera molto educata e forbita. Ma tu pensa, magari è pure laureato!
Decido di tornare a Largo Colli Albani. Arrivatoci, provo ad addentrarmi dalla parte opposta rispetto a quella da dove arrivo e mi accorgo di trovarmi quasi in una altra città. Improvvisamente, strade ordinate, bei negozi, anche di lusso, supermercati, concessionarie auto, librerie, bar, ristoranti, condomini moderni e ben tenuti anche se ovunque mi giri trovo cartelli con la scritta VENDESI E AFFITTASI APPARTAMENTI.
Sono ormai le 15,50. Torno verso la piazza e mi avvicino alla fermata del bus. Ormai è questione di poco e finalmente mi toglierò questo dente. Vada come vada.
Alle 15,55 arriva al capolinea un bus “664”. Vedo scendere da lì un tipo che mette subito mano al cellulare e chiama. Contemporaneamente il mio telefono comincia a squillare. Capisco che è lui la persona che sto aspettando.
Mi avvicino a lui e subito ci riconosciamo reciprocamente. Lui ha capito che sono io e io so ormai che è lui.
Mi basta dargli un’occhiata perché immediatamente tutte le mie ansie, i miei timori ed i miei dubbi vengano fugati. La persona che mi stringe la mano sorridendo, ha la classica faccia del buon padre di famiglia. Ispira fiducia e trasmette grande serenità. Dimostra una sessantina d’anni e porta un paio di lunghi e ampi baffoni bianchi che aprono ad un sorriso profondamente sincero.
“Piacere, mi chiamo Valter” – mi dice. (ndr. Il nome dato al personaggio è di pura fantasia)
“Piacere mio” – gli rispondo.
Improvvisamente il tu che mi dava per telefono si trasforma in Lei.
“Venga, annamo al bar, che ci prendiamo un caffè”
“Volentieri”, rispondo contraccambiando il sorriso.
Però voglio subito chiarire la questione “economica” e mi secca farlo dentro al bar davanti ad altre persone. Mi sono preparato una banconota da 50 euro in tasca, pronto a girargliela al momento opportuno.
“Aspetti, però, Valter; solo un momento prima del caffè. Vorrei chiarire questa cosa subito”.
Faccio il gesto d’infilare una mano nella tasca dei pantaloni per prendere la banconota. Lui è come se intuisse al volo le mie intenzioni e mi blocca immediatamente. Arrossiamo entrambi, lui per l’imbarazzo ed io per l’imbarazzo di avergli procurato imbarazzo.
“No, no, che sta facendo! No, guardi che nun ha capito. Io faccio l’autista. Ogni tanto me capita de trovà oggetti abbandonati sulla vettura. Prima di passarli alla polizia provo a restituirli de persona. Se nun ce s’aiuta tra de noi…Venga che le offro il caffè”.
Come il caffè? Cioè questo Valter non solo mi sta facendo un enorme favore, ma addirittura mi vuole pure offrire il caffèèè?! Ma questa non era Roma ladrona? E questo da dove piove? Che sia un’extraterrestre?
Entriamo nel bar e subito mi dirigo alla cassa, precedendolo. Lui insiste per pagare. Ma quasi implorandolo a mani giunte gli spiego che almeno il caffè lo “devo” offrire io. Lui alla fine, sia pure con dispiacere, accetta.
Seguono 5 minuti intensissimi, nei quali mi gusto uno dei caffè più buoni della mia vita in compagnia di una persona di cui non so assolutamente niente ma con cui adesso vorrei intrattenermi un’ora e più.
Tira fuori la chiavetta ed i due mazzi di chiavi e me li mostra. Io confermo che le chiavi non sono le mie e, sorpresa, neppure la chiavetta usb lo è.
“Ma come? Non è la sua chiavetta?”
“No, guardi la mia chiavetta è diversa”.
Improvvisamente mi accorgo che dopo la telefonata della mattina non ho minimamente pensato a cercare la mia chiavetta dove la tengo di solito ovvero nello zaino che mi porto sempre dietro e che anche adesso ho sulle spalle.
“Eppure, guardi che su sta chiavetta ce sta ‘n sacco de robba sua”.
Valter tira fuori il suo cellulare, ci attacca la chiavetta e tempo qualche secondo in effetti appaiono sullo schermo del cellulare una serie di documenti ed una cartella “Rifiuti”. Valter apre quella cartella e mi mostra una serie di file che sono tutti stati prodotti da me: ppt delle mie lezioni sui rifiuti, documenti sulla gestione dei rifiuti in formato pdf ed anche una lettera a mia firma nella quale io mi rivolgo ad un certo professor XXXX confermando l’appuntamento che ho con lui per tenere un seminario di educazione ambientale nella scuola dove lui insegna a Barberino di Mugello.
Capisco perché il signor Valter abbia pensato che la chiavetta da lui ritrovata appartenesse a me, ma al contempo intuisco che al contrario, tutto quel materiale potrebbe invece appartenere proprio a quel professore dove io mi sono recato a tenere la lezione sui rifiuti, (ho l’abitudine di lasciare i miei file agli insegnanti che me lo richiedono dopo aver fatto l’incontro con i loro alunni).
Il mistero è come da Barberino di Mugello, comune situato a 40 chilometri da Firenze, questa roba sia finita a Roma. Ma, come si dice in questi casi, questa è un’altra storia.
Decido di trattenere io la chiavetta, di studiare bene i file contenutivi e provare io a risalire al presunto proprietario di quegli oggetti. Valter tratterrà ancora per qualche giorno i due mazzi di chiavi.
E’ giunta l’ora di salutare il signor Valter, il suo autobus della linea 664 lo attende per iniziare il percorso.
Quasi mi spiace salutarlo. Lo ringrazio ancora moltissimo e gli prometto che comunque lo richiamerò in ogni caso anche se la mia ricerca risultasse vana.
Prima di allontanarmi gli rivolgo un’ultima domanda: “Mi scusi, ma lei come ha detto di chiamarsi? Valter e poi?”
“Valter, mi chiamo, Valter e basta.”
Auguri, Valter. Auguri di cuore. E’ bello sapere che in giro ci sono persone come Lei.
Prima di scendere a prendere la metropolitana do un’ultima occhiata a Largo Colli Albani. Sono le 16 poco più di una bella giornata. Il sole sta calando.

Scopro, all’improvviso, che questo luogo non è affatto inospitale come credevo fino ad un’ora fa.

Auguri di Buone Feste!
Michele Salvadori

domenica 14 dicembre 2014

"Contro (la) natura" Di Chicco Testa

Decidendo di seguire con osservanza intransigente i principi della filosofia del “chilometro zero”, potremmo giungere un giorno al paradosso di essere costretti a cibarci di sole cipolle, vivendo a Tropea, oppure di solo lardo, vivendo a Colonnata o – quel che è peggio – di solo porridge (orzo bollito) se vi trovate nel Galles. E la maggioranza della popolazione umana dovrebbe andare avanti senza o con pochissima frutta.
Quella sopra descritta per le cipolle e il lardo rappresenta una delle provocazioni con le quali Chicco Testa, con Patrizia Feletig, nel loro libro dal titolo “Contro (la) Natura” (Marsilio Editore – Collana I Grilli), tentano di combattere una nuova figura che da ormai alcuni anni sta imperversando nella società industrializzata, e che gli autori definiscono l’“ambientalista collettivo”.
Una delle principali tesi del libro è che oggi l’ambientalismo, fatte le dovute eccezioni che però caratterizzano pochi gruppi, è ormai divenuto “un mantra pieno di luoghi comuni, una miscela indistinta di qualche buona idea e aure senza senso, dati scientifici usati come gadget, informazione sensazionalista, mode e marketing” e altro ancora.
Secondo Chicco Testa, la gran parte di noi si lascia condizionare da questo modo di pensare anche a causa del fatto che ormai i media parlano di questi temi continuamente ma giungendo sempre alle medesime conclusioni e proponendo lo stesso messaggio. Molti di noi provano ormai un senso di colpa ogni volta che acquistano qualche banana (Orrore! Un prodotto che proviene dall’altra parte del mondo e che ha viaggiato per migliaia di chilometri con tutto quello che ne consegue).
L‘“ambientalista collettivo”, che ormai pilota o cerca di pilotare i pensieri del cittadino comune, concorre, secondo Testa e Feletig, a farci credere che la Natura sia un’imponente macchina ispirata esclusivamente da principi buoni e giusti e che pertanto l’uomo debba regolare le proprie azioni e comportamenti seguendo questi presunti principi.
Ma nella realtà, ed a dispetto del pensiero predominante, la natura non si cura affatto dell’uomo. Essa va avanti e basta. Il pianeta Terra è esistito miliardi di anni prima che sulla sua superficie si sviluppasse la vita e si evolvesse quindi la specie umana e, con ogni probabilità, andrà avanti ancora a lungo anche se l’uomo si dovesse estinguere. Quando parliamo di “salvare il pianeta”, secondo gli autori, facciamo pura e semplice demagogia. La Terra non ha affatto bisogno di essere salvata dall’uomo. Il nostro pianeta continuerà a vivere anche se, per cause dovute o meno alle azioni dell’uomo, la nostra specie dovesse un giorno malauguratamente estinguersi.
Il punto semmai è un altro; alla specie umana necessita preservare certe condizioni di stato sul pianeta perché esse sono in grado di garantire continuità alla vita dell’uomo sulla Terra. Siamo pertanto mossi ad agire solo per utilitarismo, per un puro interesse egoistico, dettato dalle opportunità di sopravvivenza.
L’idea non è del tutto nuova. In un suo libro, dal titolo “The Medea Hypothesis”, il paleontologo americano Peter Ward, nel 2009, ha cercato di ribaltare la “Teoria di Gaia” sviluppata invece nel celebre ed omonimo libro di James Lovelock. Anche se le conclusioni di Ward sono distanti da quelle a cui giunge Testa, entrambi partono dal medesimo presupposto. Ward descrive la Natura appunto come “matrigna” e del tutto disinteressata alle sorti dell’uomo, contrapponendola volutamente alla figura benevola e materna descritta da Lovelock. Più correttamente, applicando le osservazioni scientifiche che sono ben lontane da questi tentativi di personalizzazione della Terra, la Natura – anzi, dovremmo scrivere “natura” con la minuscola - non è né materna, né benigna, né buona, né cattiva, e neanche “indifferente”. Semplicemente “è”, e si nuove secondo l’influsso casuale su di essa del mondo vivente e non-vivente, compreso l’uomo, che è parte integrante dell’ecosistema e in grado di modificarlo.
Si deve riconoscere al libro di Testa il merito di andare “contro” il pensiero (sedicente) ambientalista dominante odierno, facendolo, oltretutto, con uno stile semplice, accessibile anche ai non addetti ai lavori e con un tocco d’ironia che non guasta.
In “Contro (la) Natura” si afferma, ad esempio, come la specie umana dovrebbe essere grata al famoso meteorite che, entrando in collisione con il pianeta, ha probabilmente causato l’estinzione dei dinosauri e creato così i presupposti per lo sviluppo dell’ordine dei Mammiferi e quindi della nostra specie (la natura benigna in questo caso lo è stata per l’uomo, certo non per i poveri dinosauri!). E ancora, si narra del paradosso per il quale l’avvento del petrolio abbia contribuito a salvare molte più balene di quante siano riusciti a fare gli attivisti di Greenpeace (grazie al conseguente abbandono della pratica di estrazione dell’olio di balena prima utilizzato come combustibile).     
Per molte persone concetti come “natura” e “naturale” comunicano un senso di giustizia, razionalità, bontà e bellezza. Gli autori del libro si chiedono allora se queste considerazioni siamo disposti a farle anche nei confronti di un tifone o un terremoto, del fungo Amanita muscaria o dell’arsenico… oppure dell’orsa Danica che, a difesa dei propri cuccioli, attacca in un bosco un cercatore di funghi.
Da anni registriamo la tendenza a tornare a vivere in campagna, senza considerare che la vita in campagna oggi è resa decisamente più confortevole grazie alle moderne tecnologie che ci permettono di viverci senza praticamente rinunciare a niente: acqua calda, riscaldamento, elettricità, sistemi di comunicazione, connessione internet. Di fatto, è un po’ come se ci trovassimo all’interno di una grande bolla tecnologica che ci tutela da tutti quegli aspetti disagevoli che invece caratterizzavano la vita dell’uomo in questi contesti fino a non molto tempo fa. Citando ancora un passo del libro: “Anche il più modesto agriturismo, una volta semplice estensione dell’abitazione e dello stile di vita di famiglie contadine, è oggi un piccolo albergo, che esiste solo se possiede un sito web e che si sente domandare dall’ospite che vuole prenotare se è dotato di aria condizionata e wi-fi”.
Siamo dentro la natura eppure al riparo da essa, in una condizione molto simile a quella del visitatore di un grande acquario che si trova nelle immediate vicinanze della vasca che ospita uno squalo tigre ma senza alcun rischio per la propria incolumità. Per non parlare delle cose ritenute e propagandate come naturali, quando sono in parte frutto dell’ingegno dell’uomo, come gli animali, le piante e i microorganismi domesticati a furia di incroci e di selezioni eseguiti dai contadini e dagli allevatori, dagli agronomi e dagli scienziati: come la mucca da latte e i legumi coltivati (tanto per citare due specie).
Bellezza significa insomma, per noi, prima di tutto sicurezza. E’ la sicurezza, conquistata con mille strumenti artificiali, che rende bello il mondo”.
E’ proprio grazie all’ingegno della nostra specie che la vita dell’uomo sulla Terra ha potuto svilupparsi a dispetto delle teorie catastrofiste, per prima quella di Malthus, che prevedevano la drastica diminuzione della popolazione umana terrestre causata dal progressivo consumo delle risorse. Da anni invece assistiamo ad una continua revisione al rialzo delle stime sulle nostre riserve di materie prime ed al contempo le nuove tecnologie consentono all’uomo di migliorare costantemente l’efficienza nell’utilizzo di queste stesse risorse.
Il libro, in proposito, propone la seguente analisi. L’alto sviluppo demografico e la concentrazione di ormai oltre il 50% della popolazione in vasti agglomerati urbani non possono essere affrontati senza l’uso di una produzione agricola di stampo industriale e proprio la concentrazione della popolazione in aree delimitate come le grandi metropoli favorisce l’applicazione di criteri di efficienza nel consumo e nella distribuzione di tali risorse. Nella seconda metà del secolo scorso la produzione mondiale di cereali è balzata da 700 milioni a 1,9 miliardi di tonnellate con le stesse superfici coltivate grazie allo sviluppo di nuove tecnologie. In questa ottica anche la battaglia contro gli “Ogm”, secondo Chicco Testa, è deprecabile oltre che contraddittoria. La creazione di piante più resistenti ai parassiti abbassa il ricorso all’uso di antiparassitari, così come piante meno bisognose d’acqua permettono la loro coltivazione in aree siccitose. Ma, paradossalmente, mentre in Italia sono vietate le sperimentazioni sugli Ogm, sempre in Italia viene importata, come mangime per animali, la soia geneticamente modificata, con risultato che prodotti tipici derivano da animali nutriti con Ogm. Tutto è stato reso possibile grazie all’innovazione tecnologica ed alla capacità della specie umana; se la specie umana si fosse assoggettata in tutto al dominio della natura, essa probabilmente oggi sarebbe già estinta.
Naturalmente non tutte le conclusioni a cui giungono Testa e la Feletig sono condivisibili; (ad esempio, quelle in favore del nucleare e dell’eolico). Tuttavia, è importante che un libro cerchi di trasmettere un messaggio incoraggiante e positivo, un messaggio - se vogliamo - anche di speranza per il futuro a dispetto delle più comuni prefiche ambientaliste, che in genere sono specializzare nella divulgazione di messaggi pessimistici.
In uno degli ultimi capitoli del libro, gli autori dedicano la loro attenzione a quella parte del mondo ambientalista che, sfidando l’ostracismo dei più, ha osato negli ultimi anni prendere le distanze dall’ambientalista collettivo. La questione ricorda le note e recenti vicende che hanno riguardato gli Amici della Terra italiani e la loro adesione in qualità di membri della federazione dei Friends of the Earth International.
Molti punti di contatto si possono riscontrare tra il ragionamento di Chicco Testa e posizioni espresse degli Amici della Terra Italia, che tradizionalmente hanno cercato di non farsi influenzare dalle facili e diffuse posizioni ideologizzate sulle tematiche ambientali: questa attenzione critica è stato il modus operandi che contraddistingue gli Amici della Terra italiani non da oggi. Certe scelte sono costate un prezzo alto ma sono rimaste nel patrimonio dal movimento ambientalista riformista. Questo significa che comunque ne è valsa la pena.
                                            
Michele Salvadori

lunedì 7 aprile 2014

"Nuove energie" di Giuseppe Recchi

Il mondo ambientalista e quello dei produttori delle cosiddette “energie sporche” rappresentano realmente due mondi contrapposti, le cui idee e prospettive sono e resteranno per sempre inconciliabili? Ho voluto, questa volta, cercare di capire il punto di vista di qualcuno che certo non appartiene alla corrente ambientalista.

Giuseppe Recchi, presidente ENI, sesto gruppo petrolifero mondiale, è l’autore di questo breve testo, dal titolo “Nuove Energie- le sfide per lo sviluppo dell’Occidente” (Marsilio Editore, €. 13,00).
Ho innanzitutto apprezzato il tono divulgativo con cui è scritto il testo che consente di avvicinarsi a tematiche complesse come quella dell’utilizzo dell’energia anche a chi, come il sottoscritto, non ne è un esperto, ed anche la sua concisione, (appena 160 pagine), che non spaventa un lettore medio che spesso, di fronte a volumi della consistenza volumetrica e del peso dei mattoni, giustamente viene scoraggiato in partenza.

“La storia dell’energia è la storia del mondo”, recita l’incipit dei questo libro. Come non dargli ragione.
Il presidente dell’ENI ripercorre innanzitutto la storia dello sfruttamento delle fonti energetiche da parte dell’uomo a cominciare dall’utilizzo dell’olio di balena come principale fonte utilizzata per l’illuminazione e giunge poi a narrare la storia della perforazione dei primi pozzi petroliferi a metà dell’Ottocento, proprio alla ricerca di una fonte alternativa a quella fornita da balene e Capodogli, il cui numero stava repentinamente diminuendo a causa dell’intensificazione della caccia da parte dell’uomo.

Uno dei primi obiettivi di Recchi sembra essere quello di distruggere la teoria del picco di Hubbert, dal nome del geofisico americano M.K.Hubbert che ipotizzava che la produzione mondiale di petrolio si sarebbe progressivamente esaurita. Per anni, ci spiega Recchi, siamo stati convinti di essere vicinissimi al picco del petrolio ed in parte le previsioni si avverarono, se è vero che tra il 1970 e il 1971 negli USA il picco fu raggiunto sul serio. Secondo la quasi totalità degli esperti avremmo poi dovuto raggiungere il picco del petrolio a livello globale attorno alla metà degli anni ottanta. Addirittura il “Club di Roma” aveva previsto che attorno al 2000 la produzione del petrolio si sarebbe dimezzata. Per la cronaca, la produzione di greggio nel 2000 è risultata essere superiore del 25% rispetto a quella degli anni ottanta.
Questo grossolano errore di previsione secondo l’autore si è verificato per gli scarsi dati informativi a disposizione degli scienziati al momento di formulare le loro teorie e per non aver considerato che i progressi della scienza e della tecnologia avrebbero, come di fatto si è poi verificato, consentito nuove metodologie estrattive più efficaci ed efficienti e l’individuazione di riserve di idrocarburi in aree ancora non esplorate. In ultima analisi, l’unica risorsa davvero inesauribile - questa la tesi di Recchi - è la creatività dell’uomo che nei momenti di difficoltà spesso riesce a trovare strade alternative all’inizio impensabili.
La teoria del “peak oil” è dunque ormai screditata. Recchi afferma che le attuali stime parlano di disponibilità di petrolio e suoi derivati per almeno altri 180 anni. Tuttavia lo stesso Recchi ammette pure che non è affatto detto che sarà ancora il petrolio, nei prossimi cento e passa anni, ad avere un ruolo cruciale in campo energetico. Le stime dell’International Energy Outlook 2013 parlano, tra l’altro, di un incremento del consumo di energia nei prossimi trent’anni di circa il 56%.

Come affrontare il problema, allora?

Anche per Recchi, come per molti addetti ai lavori, la prima soluzione è l’enorme potenziale rappresentato dalla cosiddetta “rivoluzione non convenzionale” dello Shale Gas. Com’è noto, quando parliamo di shale gas ci riferiamo all’estrazione di gas naturale o di petrolio da rocce particolari: gli scisti argillosi, ricchi, in particolare, di gas metano. Il fenomeno era noto da tempo; quello che non avevamo era la tecnologia adatta all’estrazione. Dieci anni fa, George P. Mitchell ha rivoluzionato le tecniche di estrazione del gas con il sistema di fratturazione, detto fracking, che sfrutta la pressione di un fluido – in genere acqua – per creare e poi propagare una frattura in uno strato roccioso.
La portata di questo sistema estrattivo è enorme. Ancora nel 2000 negli USA lo shale gas rappresentava appena l’1% del gas naturale consumato. Al 2012 era già al 25% e si stima che nel 2030 la quota avrà superato il 50%. Nel giro di pochi anni gli USA non solo raggiungeranno l’autosufficienza ma addirittura diverranno esportatori di LNG (gas naturale liquefatto).

Aree del pianeta con maggiore presenza di Gas di argille
Per il momento, la rivoluzione dello shale gas noi europei la osserviamo da lontano. Secondo alcune stime, in Europa ci sono giacimenti di shale gas per 13 mila miliardi di metri cubi. Tuttavia Recchi non è ottimista sulla possibilità che anche nel nostro continente si verifichi un’equivalente rivoluzione energetica analoga a quella che sta avvenendo negli USA, non tanto per ragioni geologiche quanto per ragioni politiche e soprattutto perché la politica energetica in Europa non è univoca ma è appannaggio dei singoli stati.

Secondo Recchi, (ndr: e come potrebbe essere altrimenti?), le preoccupazioni degli ambientalisti sono immotivate. Ma proprio le pressioni ambientaliste, unite a quelle delle grandi lobby degli agricoltori, finiranno per pesare più dell’obiettivo dell’autosufficienza energetica, impedendo di fatto lo sviluppo di questa tecnologia anche sul vecchio continente.
Di fatto, la Francia, che avrebbe ingenti risorse di shale gas, ne ha proibito lo sfruttamento. In Germania e Olanda le pressioni contrarie dell’opinione pubblica ne stanno contrastando lo sviluppo e una situazione non dissimile si sta verificando anche in Spagna e Bulgaria.
La Polonia, unico paese dove per il momento questo tipo di problemi non ci sarebbe, ne ha invece un altro: la mancanza di un’adeguata rete di distribuzione del gas unita all’incertezza sulla qualità geologica dei suoi giacimenti.
L’unico paese in Europa che oggi si sta realmente attrezzando allo shale gas sembra essere il Regno Unito.

Ma le incertezze restano anche sul piano della fattibilità commerciale dell’estrazione in territorio europeo. Tuttavia, continua Recchi, anche se lo sviluppo di questa tecnologia in Europa dovesse valere una frazione di quella americana, nondimeno rappresenterebbe un contributo prezioso alla nostra economia. In realtà, gli ostacoli, per stessa ammissione dell’autore, sono vari. In Europa ad oggi non ci sono paesi in possesso contemporaneamente di tutti i requisiti che hanno consentito lo sviluppo dello shale gas come in USA. In nessun paese europeo infatti sussistono contemporanee condizioni di abbondanza di acqua, di esperienza diffusa nel campo estrattivo petrolifero, e facilità di accesso ai terreni (il diritto di proprietà del sottosuolo da noi appartiene allo Stato e non al singolo proprietario dei terreni come appunto in USA) e soprattutto è carente un forte impegno politico su questi obiettivi.

Per Recchi un grosso peso sta avendo anche la disinformazione promossa dai gruppi ambientalisti a livello europeo. A suo dire, l’allarme ambientale sollevato non ha ragion d’essere, visto lo stadio avanzato raggiunto negli Stati Uniti da questa tecnologia. Ciò che Recchi riconosce come limite principale della tecnica del fracking è la necessità di utilizzo di grandi quantità di acqua. Oggi, in media, occorrono circa 4 litri di acqua per produrre circa 15 metri cubi di gas. A quest’acqua poi vanno aggiunti addittivi chimici con evidenti rischi d’inquinamento che però sarebbero arginati dal fatto che l’acqua utilizzata per il processo non viene dispersa, ma recuperata per poi essere filtrata e riconvertita al suo stato originale.
Resta il fatto che la rivoluzione dello shale gas in USA ha funzionato perché si è rivelata un gioco win-win: ne guadagnano l’impresa petrolifera, il proprietario del terreno ed anche lo Stato attraverso le entrate fiscali e l’effetto dei prezzi più bassi dell’energia. Per non parlare dell’effetto sull’occupazione, che cresce.
E l’Europa, secondo Recchi, ha un altro problema: quello rappresentato dai sussidi alle energie rinnovabili che, paradossalmente, oggi ne mettono in crisi il mercato economico.

Gli Europei pagano il prezzo più alto al mondo per l’elettricità, in parte anche a causa di costosissimi sussidi alle energie rinnovabili corrisposti attraverso supplementi sulla bolletta elettrica. E tuttavia le emissioni da energia elettrica non diminuiscono più. Com’è possibile? Si tratta della risultante di più fattori: la marcia forzata verso le rinnovabili, la recessione economica e il crescente ricorso al carbone. Oggi infatti le aziende europee stanno importando grandi quantità di carbone a prezzi bassissimi, malgrado sia la fonte più sporca, proprio perché resta la più economicamente conveniente.
Il consumo di elettricità prodotta da gas nel 2013 in Europa è sceso del 30% rispetto al 2008, con punte che in Italia hanno toccato il 37%. Mentre le centrali elettriche a carbone marciano a pieno regime. In Germania, a causa dell’incremento nell’uso del carbone, le emissioni di gas serra sono aumentate nel 2011-2012, anziché diminuire. In Italia, invece, abbiamo un altro problema: solo nel 2012 abbiamo speso oltre 10 miliardi di euro in incentivi alle fonti rinnovabili che sono andati a costituire il 18% in media delle bollette elettriche di ciascuna famiglia.

Mentre dunque gli Stati Uniti marciano verso prezzi energetici più bassi, grazie alla scoperta dello shale gas, l’Europa sta andando esattamente nella direzione opposta. Di conseguenza la competitività industriale europea rispetto a quella americana sta subendo un netto deterioramento.

Come procedere, allora?

Secondo Recchi è indispensabile attuare una solida strategia energetica partendo dalla correzione delle misure rivelatesi distorsive a favore delle rinnovabili. Egli, sia pur molto sinteticamente, accenna all’importanza di dirottare quote maggiori d’incentivi verso le rinnovabili termiche (caldaie a biomassa, pompe di calore, ecc.) In secondo luogo si dovrebbe incoraggiare lo sfruttamento dello shale gas anche sul territorio europeo adottando una revisione delle norme che lo agevoli. In Italia, ad esempio, la cosiddetta Sindrome di Nimby (Not in my backyard, non nel mio giardino) ha bloccato molti progetti di sfruttamento di gas e petrolio. Sempre secondo Recchi, se anche noi italiani adottassimo a riguardo un approccio simile a quello dell’Inghilterra o della Norvegia, potremmo raddoppiare la produzione e soddisfare circa il 20% del consumo nazionale. Dobbiamo poi sicuramente procedere a sforzi importanti verso una maggiore efficienza energetica.

Vi è, per fortuna, nel testo una chiara ammissione del problema principale: le fonti fossili, che oggi continuano a rappresentare la principale risorsa energetica, sono anche la più inquinante. E per Recchi non esistono soluzioni applicabili nell’immediato che possano risolvere la questione rapidamente. “Anche chi utilizza un veicolo elettrico, ad esempio, non può non considerare il fatto che oggi l’elettricità prodotta in Italia è generata per il 70% da centrali alimentate con idrocarburi e solo per il 10% da pannelli solari e pale eoliche. I derivati del petrolio sono ovunque: pensiamo, ad esempio, alla bottiglietta del nostro shampoo, fatta in plastica (derivato del petrolio), lo stesso nostro shampoo è fatto in larga misura da composti petrolchimici. Se facessimo la somma di tutti i derivati del greggio che utilizziamo, consapevolmente o meno, e che servono a tenere “accesa” la nostra società civile, ne deriverebbe che, solo in Italia, consumiamo mediamente 21 barili al giorno ogni 1.000 abitanti: poco più di 3 litri di petrolio al giorno per persona. A livello globale tutte le fonti alternative agli idrocarburi messe insieme – eolico, solare, nucleare, ecc. – contano secondo l’Agenzia internazionale per l’Energia dell’Ocse, per meno di un terzo dell’elettricità generata nel mondo”.

Gli idrocarburi restano dunque al momento un ingrediente base della nostra civiltà, anche se sono un ingrediente molto contestato. Recchi riconosce ad una parte del mondo ambientalista la genuina preoccupazione per la sopravvivenza del nostro ecosistema giungendo ad analizzare il problema del rischio di modifica delle condizioni climatiche del pianeta a causa dell’attività dell’uomo. Sono ormai in molti, egli sostiene, a ritenere indispensabile un cambiamento del nostro stile di vita, del nostro modello di consumo a favore di scelte più ecocompatibili.

Purtroppo però il problema, secondo Recchi, non è più se possiamo o no fare a meno del petrolio e degli idrocarburi. E’ grazie a loro se oggi per sette miliardi di persone su questo pianeta è possibile alimentarsi, vestirsi, curarsi e spostarsi. Se decidessimo di farne a meno dovremmo dire addio all’industria e al commercio e quindi, tutta o quasi la produzione di beni e servizi dovrebbe svolgersi nelle vicinanze di casa. La strategia più pratica, oggi, per proteggere il pianeta resta quella di concentrarsi sulla riduzione degli sprechi e sull’aumento dell’efficienza.

Recchi infine evidenzia anche un'altra questione, allorchè afferma che il problema del riscaldamento dell’atmosfera della Terra è un problema globale e che gli sforzi dell’Europa possono servire relativamente a poco per risolverlo se resteranno isolati. Anche se in Europa riuscissimo a diminuire le nostre emissioni del 20% entro il 2020, questo servirebbe a poco se in India e in Cina le emissioni continuassero a crescere in maniera esponenziale.
Resta invece la ferma convinzione del Presidente ENI che l’obiettivo dell’efficienza energetica possa essere un fattore trainante anche per l’economia oltre che per l’ambiente. L’efficienza risulta positiva in tutti i sensi, egli conclude: ” essa può diminuire i danni all’atmosfera ma anche far risparmiare denaro che potrebbe essere speso per migliorare le condizioni di vita della popolazione accrescendo al contempo la sicurezza energetica e diminuendo le importazioni di energia”.

Naturalmente non tutto quanto sostiene Recchi è da me personalmente condiviso. Resta difficile considerare del tutto disinteressate certe affermazioni da parte del presidente di uno dei principali colossi energetici mondiali. Considero un po’ demagogico parlare di 7 miliardi di abitanti del pianeta che hanno raggiunto un buon tenore di vita grazie all’uso degli idrocarburi. Almeno un miliardo di persone continua a morire di fame, e vive in assenza di luce e acqua nelle proprie abitazioni, o no? Ritengo però che il tema dello shale gas in Europa dovrebbe comunque essere affrontato senza preconcetti anche perché, pur trattandosi sempre di un combustibile fossile, esso è sicuramente meno impattante specie se paragonato al carbone, in termini di emissioni prodotte; condivido anche il pensiero di Recchi in merito alle scelte politiche europee in tema di energia e soprattutto la sua considerazione che a ben poco serviranno le scelte di abbattere le emissioni sul territorio europeo se poi nel resto del mondo tali vincoli non saranno altrettanto condivisi e rispettati.

Questi ultimi punti sono anche gli argomenti più comunemente utilizzati da larga parte del mondo ambientalista per attaccare il mondo dei produttori della cosidetta “energia sporca”. Ritengo di conoscere abbastanza bene una parte di quel mondo ambientalista che agisce talvolta condizionato più dall’ideologia che da convinzioni supportate scientificamente. Quel mondo ambientalista che ad esempio si oppone ai termovalorizzatori, che si ostina a dire di no a tutto e dunque no, a prescindere, anche allo shale gas, senza probabilmente mai aver cercato di approfondire il tema, che ha la presunzione di essere l’unico depositario del sapere e della verità e che considera ancora il mondo diviso tra buoni e cattivi, come nei vecchi film western.

Viviamo una realtà estremamente complessa e destinata a complicarsi probabilmente sempre più; questa è una ragione, più che sufficiente, perché si debba avere il coraggio di confrontarci con tutti anche e soprattutto con chi, ufficialmente, si colloca dall’altra parte della barricata.


Michele Salvadori