Decidendo
di seguire con osservanza intransigente i principi della filosofia del
“chilometro zero”, potremmo giungere un giorno al paradosso di essere costretti
a cibarci di sole cipolle, vivendo a Tropea, oppure di solo lardo, vivendo a
Colonnata o – quel che è peggio – di solo porridge (orzo bollito) se vi trovate
nel Galles. E la maggioranza della popolazione umana dovrebbe andare avanti
senza o con pochissima frutta.
Quella
sopra descritta per le cipolle e il lardo rappresenta una delle provocazioni
con le quali Chicco Testa, con Patrizia Feletig, nel loro libro dal
titolo “Contro (la) Natura” (Marsilio Editore – Collana I Grilli),
tentano di combattere una nuova figura che da ormai alcuni anni sta
imperversando nella società industrializzata, e che gli autori definiscono l’“ambientalista collettivo”.
Una
delle principali tesi del libro è che oggi l’ambientalismo, fatte le dovute
eccezioni che però caratterizzano pochi gruppi, è ormai divenuto “un mantra pieno di luoghi comuni, una
miscela indistinta di qualche buona idea e aure senza senso, dati scientifici
usati come gadget, informazione sensazionalista, mode e marketing” e altro
ancora.
Secondo
Chicco Testa, la gran parte di noi si lascia condizionare da questo modo di
pensare anche a causa del fatto che ormai i media parlano di questi temi
continuamente ma giungendo sempre alle medesime conclusioni e proponendo lo
stesso messaggio. Molti di noi provano ormai un senso di colpa ogni volta che
acquistano qualche banana (Orrore! Un prodotto che proviene dall’altra parte
del mondo e che ha viaggiato per migliaia di chilometri con tutto quello che ne
consegue).
L‘“ambientalista
collettivo”, che ormai pilota o cerca di pilotare i pensieri del cittadino
comune, concorre, secondo Testa e Feletig, a farci credere che la Natura sia
un’imponente macchina ispirata esclusivamente da principi buoni e giusti e che
pertanto l’uomo debba regolare le proprie azioni e comportamenti seguendo
questi presunti principi.
Ma
nella realtà, ed a dispetto del pensiero predominante, la natura non si cura
affatto dell’uomo. Essa va avanti e basta. Il pianeta Terra è esistito miliardi
di anni prima che sulla sua superficie si sviluppasse la vita e si evolvesse
quindi la specie umana e, con ogni probabilità, andrà avanti ancora a lungo
anche se l’uomo si dovesse estinguere. Quando parliamo di “salvare il pianeta”,
secondo gli autori, facciamo pura e semplice demagogia. La Terra non ha affatto
bisogno di essere salvata dall’uomo. Il nostro pianeta continuerà a vivere
anche se, per cause dovute o meno alle azioni dell’uomo, la nostra specie
dovesse un giorno malauguratamente estinguersi.
Il
punto semmai è un altro; alla specie umana necessita preservare certe
condizioni di stato sul pianeta perché esse sono in grado di garantire
continuità alla vita dell’uomo sulla Terra. Siamo pertanto mossi ad agire solo per
utilitarismo, per un puro interesse egoistico, dettato dalle opportunità di
sopravvivenza.
L’idea
non è del tutto nuova. In un suo libro, dal titolo “The Medea Hypothesis”, il paleontologo americano Peter Ward, nel
2009, ha cercato di ribaltare la “Teoria
di Gaia” sviluppata invece nel celebre ed omonimo libro di James Lovelock.
Anche se le conclusioni di Ward sono distanti da quelle a cui giunge Testa,
entrambi partono dal medesimo presupposto. Ward descrive la Natura appunto come
“matrigna” e del tutto disinteressata alle sorti dell’uomo, contrapponendola
volutamente alla figura benevola e materna descritta da Lovelock. Più
correttamente, applicando le osservazioni scientifiche che sono ben lontane da
questi tentativi di personalizzazione della Terra, la Natura – anzi, dovremmo
scrivere “natura” con la minuscola - non è né materna, né benigna, né buona, né
cattiva, e neanche “indifferente”. Semplicemente “è”, e si nuove secondo
l’influsso casuale su di essa del mondo vivente e non-vivente, compreso l’uomo,
che è parte integrante dell’ecosistema e in grado di modificarlo.
Si
deve riconoscere al libro di Testa il merito di andare “contro” il pensiero (sedicente)
ambientalista dominante odierno, facendolo, oltretutto, con uno stile semplice,
accessibile anche ai non addetti ai lavori e con un tocco d’ironia che non
guasta.
In
“Contro (la) Natura” si afferma, ad
esempio, come la specie umana dovrebbe essere grata al famoso meteorite che,
entrando in collisione con il pianeta, ha probabilmente causato l’estinzione
dei dinosauri e creato così i presupposti per lo sviluppo dell’ordine dei
Mammiferi e quindi della nostra specie (la natura benigna in questo caso lo è
stata per l’uomo, certo non per i poveri dinosauri!). E ancora, si narra del
paradosso per il quale l’avvento del petrolio abbia contribuito a salvare molte
più balene di quante siano riusciti a fare gli attivisti di Greenpeace (grazie
al conseguente abbandono della pratica di estrazione dell’olio di balena prima
utilizzato come combustibile).
Per
molte persone concetti come “natura” e “naturale” comunicano un senso di
giustizia, razionalità, bontà e bellezza. Gli autori del libro si chiedono
allora se queste considerazioni siamo disposti a farle anche nei confronti di
un tifone o un terremoto, del fungo Amanita
muscaria o dell’arsenico… oppure dell’orsa Danica che, a difesa dei propri
cuccioli, attacca in un bosco un cercatore di funghi.
Da
anni registriamo la tendenza a tornare a vivere in campagna, senza considerare
che la vita in campagna oggi è resa decisamente più confortevole grazie alle
moderne tecnologie che ci permettono di viverci senza praticamente rinunciare a
niente: acqua calda, riscaldamento, elettricità, sistemi di comunicazione,
connessione internet. Di fatto, è un po’ come se ci trovassimo all’interno di
una grande bolla tecnologica che ci tutela da tutti quegli aspetti disagevoli
che invece caratterizzavano la vita dell’uomo in questi contesti fino a non
molto tempo fa. Citando ancora un passo del libro: “Anche il più modesto agriturismo, una volta semplice estensione
dell’abitazione e dello stile di vita di famiglie contadine, è oggi un piccolo
albergo, che esiste solo se possiede un sito web e che si sente domandare
dall’ospite che vuole prenotare se è dotato di aria condizionata e wi-fi”.
Siamo
dentro la natura eppure al riparo da essa, in una condizione molto simile a
quella del visitatore di un grande acquario che si trova nelle immediate
vicinanze della vasca che ospita uno squalo tigre ma senza alcun rischio per la
propria incolumità. Per non parlare delle cose ritenute e propagandate come
naturali, quando sono in parte frutto dell’ingegno dell’uomo, come gli animali,
le piante e i microorganismi domesticati a furia di incroci e di selezioni
eseguiti dai contadini e dagli allevatori, dagli agronomi e dagli scienziati:
come la mucca da latte e i legumi coltivati (tanto per citare due specie).
“Bellezza significa insomma, per noi, prima
di tutto sicurezza. E’ la sicurezza, conquistata con mille strumenti
artificiali, che rende bello il mondo”.
E’
proprio grazie all’ingegno della nostra specie che la vita dell’uomo sulla
Terra ha potuto svilupparsi a dispetto delle teorie catastrofiste, per prima
quella di Malthus, che prevedevano la drastica diminuzione della popolazione
umana terrestre causata dal progressivo consumo delle risorse. Da anni invece
assistiamo ad una continua revisione al rialzo delle stime sulle nostre riserve
di materie prime ed al contempo le nuove tecnologie consentono all’uomo di
migliorare costantemente l’efficienza nell’utilizzo di queste stesse risorse.
Il
libro, in proposito, propone la seguente analisi. L’alto sviluppo demografico e
la concentrazione di ormai oltre il 50% della popolazione in vasti agglomerati
urbani non possono essere affrontati senza l’uso di una produzione agricola di
stampo industriale e proprio la concentrazione della popolazione in aree
delimitate come le grandi metropoli favorisce l’applicazione di criteri di
efficienza nel consumo e nella distribuzione di tali risorse. Nella seconda
metà del secolo scorso la produzione mondiale di cereali è balzata da 700 milioni
a 1,9 miliardi di tonnellate con le stesse superfici coltivate grazie allo
sviluppo di nuove tecnologie. In questa ottica anche la battaglia contro gli
“Ogm”, secondo Chicco Testa, è deprecabile oltre che contraddittoria. La
creazione di piante più resistenti ai parassiti abbassa il ricorso all’uso di
antiparassitari, così come piante meno bisognose d’acqua permettono la loro
coltivazione in aree siccitose. Ma, paradossalmente, mentre in Italia sono
vietate le sperimentazioni sugli Ogm, sempre in Italia viene importata, come
mangime per animali, la soia geneticamente modificata, con risultato che prodotti
tipici derivano da animali nutriti con Ogm. Tutto è stato reso possibile grazie
all’innovazione tecnologica ed alla capacità della specie umana; se la specie
umana si fosse assoggettata in tutto al dominio della natura, essa
probabilmente oggi sarebbe già estinta.
Naturalmente
non tutte le conclusioni a cui giungono Testa e la Feletig sono condivisibili; (ad
esempio, quelle in favore del nucleare e dell’eolico). Tuttavia, è importante
che un libro cerchi di trasmettere un messaggio incoraggiante e positivo, un
messaggio - se vogliamo - anche di speranza per il futuro a dispetto delle più
comuni prefiche ambientaliste, che in genere sono specializzare nella
divulgazione di messaggi pessimistici.
In
uno degli ultimi capitoli del libro, gli autori dedicano la loro attenzione a
quella parte del mondo ambientalista che, sfidando l’ostracismo dei più, ha
osato negli ultimi anni prendere le distanze dall’ambientalista collettivo. La questione ricorda le note e recenti
vicende che hanno riguardato gli Amici della Terra italiani e la loro adesione
in qualità di membri della federazione dei Friends of the Earth International.
Molti
punti di contatto si possono riscontrare tra il ragionamento di Chicco Testa e posizioni
espresse degli Amici della Terra Italia, che tradizionalmente hanno cercato di
non farsi influenzare dalle facili e diffuse posizioni ideologizzate sulle
tematiche ambientali: questa attenzione critica è stato il modus operandi che contraddistingue
gli Amici della Terra italiani non da oggi. Certe scelte sono costate un prezzo
alto ma sono rimaste nel patrimonio dal movimento ambientalista riformista. Questo
significa che comunque ne è valsa la pena.
Michele Salvadori
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