domenica 20 dicembre 2009

Copenaghen, un fallimento o una speranza?


Dopo due settimane di colloquio si è chiusa ieri la Conferenza sul Clima di Copenaghen.
Con quali risultati? Cerchiamo di analizzarli prima di trarre le dovute conclusioni.
Il documento di chiusura chiamato “Copenhagen Accord” è composto da 3 scarne paginette nelle quali si afferma quanto segue:
• Il Protocollo di Kyoto resta in vigore fino alla sua naturale scadenza nel 2012 per i Paesi che lo avevano sottoscritto ( tra questi non ci sono gli USA);
• Viene sancita un’intesa per mantenere la crescita della temperatura del Pianeta entro i 2 gradi Celsius.
• Le emissioni di CO2 dovranno diminuire e, entro il prossimo mese di gennaio 2010, ognuno dei 193 Paesi partecipanti alla conferenza comunicherà gli obiettivi che intende assumersi in tal senso. L’Unione Europea conferma, per adesso, l’obiettivo che si era già data di diminuire le sue emissioni del 20% entro il 2020. Gli USA promettono di ridurre le loro emissioni del 17% rispetto a quelle del 2005, (ma dovrà essere il Congresso USA a ratificare la decisione finale).
• I Paesi in via di sviluppo, (i più insoddisfatti dagli esiti di Copenaghen), ogni due anni dovranno comunicare i risultati delle loro misurazioni.
• I Paesi ricchi daranno a quelli poveri 30 miliardi di dollari per il periodo 2010-2012 e poi 100 miliardi di dollari all’anno dal 2020.
• Saranno introdotti degli incentivi contro la deforestazione.
• I prossimi appuntamenti fissati sono tra sei mesi a Bonn, e tra un anno a Città del Messico.
Tale accordo è riconosciuto ma non avrà valore vincolante per nessuno dei Paesi partecipanti.
Si è subito scatenato un acceso dibattito tra i delusi da questo meeting e quelli che invece si dicono comunque abbastanza soddisfatti. I delusi parlano addirittura di “Flopenaghen” per descrivere la loro sensazione di totale fallimento della conferenza, tra questi molti rappresentanti delle ONG ambientaliste.
Non tutti la pensano però allo stesso modo.
Vediamo di capire che cosa possiamo allora salvare dall’incontro di Copenaghen e cosa no.
E’ indubbio che viste le grandi attese createsi attorno a questo incontro i risultati non possono non deludere. Tuttavia qualcosa da salvare a mio avviso c’è. Intanto la quasi totalità dei Paesi del Mondo si è riunita dando credito alla tesi che il surriscaldamento globale esiste, l’uomo ne è la causa principale e si deve trovare una soluzione al problema. Siamo riusciti a coinvolgere nel progetto gli USA che invece si erano dichiarati fuori dal Protocollo di Kyoto. In sostanza l’accordo rappresenta una promessa di stipularne uno più concreto tra un anno a Città del Messico. E’ però indubbio che l’obiettivo di riduzione ed i tagli alle emissioni previsti sinora siano davvero troppo esigui.
Va rilevato tuttavia il ritorno ad una sorta di ruolo-guida da parte degli Stati Uniti, che pur in fase di declino economico, sono riusciti a coinvolgere nella loro proposta finale l’India, la Cina, il Brasile e il Sudafrica, ovvero alcuni tra i principali paesi economicamente emergenti che probabilmente hanno preferito aderire subito ad impegni minimi piuttosto che tra un anno ad un accordo strettamente vincolante. In tutto questo processo il ruolo dell’Unione Europea, che sembra oggi essere in prima linea nella lotta ai cambiamenti climatici, è rimasto purtroppo marginale, così come quello della Russia che ricordo è il quinto Paese al mondo per emissioni prodotte e che, essendo anche tra i principali produttori di gas e petrolio, ha scarso interesse a partecipare a tale accordo.
Tra un anno riusciremo sul serio ad arrivare a qualcosa di più concreto? Non so rispondere.
Probabile che potremo avere le prime risposte a questa domanda basandoci sui nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni che ogni Paese comunicherà entro la fine di gennaio.
Allora, forse, inizieremo a capire qualcosa in merito.

Michele Salvadori

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