Il prestigioso Centro Studi Worldwatch Institute, dall’ormai lontano 1974, si è dato la missione di fornire ai cosiddetti “decisori” suggerimenti, idee, stimoli per favorire la creazione di una società ecologicamente sostenibile cercando da sempre di conciliare le azioni promosse dai governi con quelle delle imprese del settore privato e, non ultime, le azioni dei singoli cittadini.
Fra le sue pubblicazioni quella che ormai ha raggiunto una fama internazionale è senza dubbio lo “State of the World”, un rapporto con cadenza annuale nel quale questo centro di ricerche con sede a Washington si pone l’obiettivo di analizzare lo stato del nostro pianeta, per l’appunto, e al contempo fornire indicazioni utili ad affrontare le principali problematiche rilevate.
A partire dal 1988 State of the World è realizzato anche in edizione italiana, e tra l’altro, presso la Biblioteca Ambientale degli Amici della Terra è possibile reperirvi con la formula del prestito o della consultazione tutte le 23 edizioni finora pubblicate.
L’edizione 2010 che reca come sottotitolo “trasformare la cultura del consumo” (Edizioni Ambiente, €. 24,00 pp. 380) è interamente dedicata a cosa sta accadendo nelle nostre società per avviare quella trasformazione indispensabile della nostra cultura e passare dall’attuale dimensione consumistica a quella della sostenibilità sia sul piano ambientale che su quello della giustizia sociale.
Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia, nella sua ormai consueta introduzione all’annuale edizione del rapporto, ribadisce alcuni punti fermi della riflessione sulla sostenibilità da parte degli ambientalisti.
“E’ possibile – egli si chiede – consentire uno stile di vita, quale quello medio degli abitanti dei paesi ricchi, all’intera popolazione mondiale attuale di 6,8 miliardi e a quella prevista per il 2050, di poco più di 9 miliardi? La risposta è, evidentemente, no, non è possibile.”
A dimostrazione della tesi, G. Bologna porta un esempio per tutti, quello sull’approvvigionamento energetico: un cittadino degli Stati Uniti consuma oggi energia come 2 europei, 6 cinesi, 22 indiani e addirittura 70 abitanti del Kenya. Senza considerare che nei prossimi trent’anni dovranno avere accesso all’energia altri 2,5 miliardi di persone.
Risulta evidente che le nostre società non possono continuare su questa strada.
Come ricorda Christopher Flavin, presidente del Worldwatch Institute: “Negli ultimi cinquant’anni il consumismo si è imposto quale cultura dominante… è diventato uno dei motori dell’inarrestabile crescita della domanda di risorse e della produzione di rifiuti, marchio distintivo della nostra epoca… ed ha contribuito a incentivare le altre forze che hanno permesso alla nostra civiltà di crescere oltre il limite di sopportazione dei rispettivi contesti ecologici.”
Oggi gli scienziati ci ricordano come le attività umane stiano influenzando l’ambiente in modi che vanno ben oltre la semplice immissione in atmosfera di gas serra; che non è più possibile comprendere tali modifiche con la semplice relazione causa-effetto che tanto domina la nostra cultura, rendendo di fatto assai difficoltosa l’interpretazione ed ancor più il predire le reali conseguenze innescate.
Non a caso il premio Nobel per la chimica Paul Crutzen ha definito la nostra epoca geologica “Antropocene” individuando con questo termine la forte caratterizzazione di questa era da parte della specie umana.
Un altro dato riportato da questo rapporto e a mio parere significativo è quello relativo ai cosiddetti flussi di materia. L’estrazione di risorse a livello globale (biomassa, minerali, metalli e combustibili fossili) è cresciuta dai 40 miliardi di tonnellate nel 1980 ai 60 miliardi nel 2008 e le previsioni parlano di toccare gli 80 miliardi di tonnellate nel 2020. L’attuale economia mondiale utilizza qualcosa di equivalente al peso di 41.000 edifici come l’Empire State Building all’anno (112 al giorno!).
Il metabolismo delle società umane, sta divenendo, tra l’altro, un settore di ricerca sempre più significativo e alla base delle discipline che si occupano di sostenibilità.
A tal proposito, e lo dico con un certo orgoglio, lo stesso Gianfranco Bologna riconosce un grande merito alla ricerca avviata proprio dagli Amici della Terra negli anni ’80 sul concetto di “Spazio Ambientale” ovvero di quel “quantitativo di energia, di risorse non rinnovabili, di territorio, di acqua, di legname e di capacità di assorbire inquinamento che può essere utilizzato pro capite, senza determinare danni ambientali e senza mettere a rischio le generazioni future”.
L’insostenibilità degli attuali modelli di sviluppo è ulteriormente acclarata da un altro indicatore di cui abbiamo già parlato su questo blog: l’Impronta Ecologica. Essa mette in relazione l’impatto dell’umanità con la quantità di terreno produttivo e le aree marine disponibili per fornire importanti servizi all’ecosistema ed evidenzia che, attualmente, l’umanità utilizza le risorse ed i servizi di 1,3 Terre. Stiamo cioè utilizzando circa un terzo in più della capacità disponibile della Terra.
Cito brevemente alcuni esempi eclatanti dell’eccesso nei consumi che contraddistingue il nostro modo di vivere.
L’industria dell’acqua in bottiglia tra il 2000 ed il 2008 ha raddoppiato il proprio fatturato raggiungendo i 60 miliardi di dollari e oltre 240 miliardi di litri d’acqua venduti. L’acqua in bottiglia costa, rispetto a quella dell’acquedotto, dalle 240 alle 10.000 volte di più ma questo sembra essere un dato irrilevante per i consumatori.
L’industria del Fast-food nei soli USA vale 120 miliardi di dollari con oltre 200.000 punti di ristoro.
Agli inizi del 20° secolo l’hamburger veniva disprezzato e considerato il “cibo dei poveri”. Oggi il solo Mc Donald’s serve 58 milioni di persone al giorno.
Nella sola Cina l’industria dei cosiddetti prodotti “usa e getta” (tovaglioli e piatti di carta, pannolini e salviette per il viso) nel 2008 ha fatturato l’equivalente di 14,6 miliardi di dollari con un incremento dell’11% rispetto all’anno precedente.
Nel solo 2008, globalmente, le statistiche ci dicono che si sono acquistati 68 milioni di veicoli, 85 milioni di frigoriferi, 297 milioni di computer e 1,2 miliardi di telefoni cellulari.
Il Rapporto stigmatizza anche un dato che probabilmente farà discutere gli amici animalisti. Sembra che l’industria degli animali domestici raggiunga un fatturato a livello globale di oltre 42 miliardi di dollari all’anno solo in cibo per animali. Nel 2005 il fatturato pubblicitario per questo settore ha superato negli USA i 300 milioni di dollari. Anche gli animali domestici consumano ingenti risorse ambientali. Ad esempio due pastori tedeschi in un anno consumano più risorse di un abitante del Bangladesh.
All’aumento dei consumi corrisponde una maggiore estrazione dal sottosuolo di combustibili fossili, minerali e metalli, più alberi tagliati e più terreni coltivati. Tra il 1950 e il 2005 la produzione di metalli è sestuplicata, il consumo di petrolio è aumentato di otto volte e quello del gas naturale di quattordici.
Per modificare questa situazione è perciò necessaria una vera e propria rivoluzione culturale i cui elementi, già in atto, in tante società in tutto il mondo, vengono propositivamente esposti in questo volume, da autori di diversa cultura e provenienza.
State of the World 2010 si sofferma ad analizzare ciò che sta accadendo nei vari fronti dell’attività umana per spostare i nostri modelli di sviluppo socio-economico.
Il testo inizia con il suggerire una rivalutazione strategica del ruolo delle organizzazioni religiose. Esse potrebbero essere di primaria importanza nello sviluppo della sostenibilità e nel disincentivare il consumismo. Oggi l’86% della popolazione mondiale afferma di appartenere a una religione organizzata. L’autorità morale rappresentata da queste organizzazioni potrebbe realmente svolgere un ruolo determinante nella diffusione della cultura della sostenibilità.
Altro ruolo giudicato strategico e nel quale mi trovo personalmente coinvolto è quello dell’istruzione. Ogni aspetto dell’istruzione scolastica dovrebbe essere orientato verso la sostenibilità. Abitudini, valori e preferenze si formano in prevalenza nell’infanzia e in generale nel corso della vita l’istruzione può avere grande influenza sulla formazione di un individuo. Nel Rapporto viene espressamente citato a titolo di esempio edificante le esperienze “pionieristiche” di paesi come Italia e Scozia nel campo delle mense scolastiche dove molto si sta facendo sia nell’ambito della qualità dell’alimentazione (promozione di cibi biologici) che in quello delle forniture (abbandono dell’usa e getta a favore di utensili riutilizzabili) che infine delle buone pratiche (promozione della raccolta differenziata).
L’istruzione potrà dunque costituire uno strumento cruciale per far fronte a tutti i problemi pertinenti lo sviluppo sostenibile.
Ma egualmente cruciale potrà essere il ruolo dell’industria e del mondo del lavoro in generale. In questa sezione il testo si sofferma in particolare sulla migliore distribuzione dell’orario lavorativo secondo il termine “lavorare meno, lavorare tutti” ma soprattutto “lavorare meno per avere un maggior numero di ore libere nella giornata da poter dedicare alla famiglia e allo svago”. L’analisi fatta in questo capitolo tende a dimostrare come in realtà l’ossessione per il maggior guadagno economico costringa a sacrificare all’attività lavorativa un maggior numero di ore della giornata senza di fatto trasformarsi in concreti benefici in termini di qualità della vita. Questa è del resto la tesi sostenuta anche dai cosiddetti filosofi della “decrescita felice” altro tema già in precedenza affrontato su queste pagine.
Ed analogamente cruciale potrà e dovrà essere il ruolo delle Istituzioni nel farsi promotrici di questo cambiamento in un’ottica di eco compatibilità. In particolare autorità, governi e amministrazioni possono influire in modo determinante attraverso lo strumento chiamato “choice editing”, un meccanismo già adottato in molte comunità che consente di pilotare le scelte dei cittadini attraverso leggi, sanzioni fiscali, incentivi e altre forme di controllo allo scopo di rendere le opzioni sostenibili non più un’alternativa, ma la soluzione più ovvia e scontata. Viene citata a tal riguardo una moltitudine di esempi: dalla messa al bando dei sacchetti di plastica (in Irlanda è stata introdotta un’imposta specifica), al graduale ritiro dal commercio delle lampadine a incandescenza, alla rimozione dagli scaffali dei supermercati ad altezza occhi di quei prodotti alimentari ricchi di grassi per sfavorirne l’acquisto, al sistema di certificazione energetica degli edifici.
Un esempio che mi ha particolarmente colpito è quello realizzato a Perth, in Australia, e denominato TravelSmart. Il sistema si basa sull’interazione dei singoli cittadini attraverso il contatto diretto per lettera, mediante intervista telefonica oppure colloquio a domicilio nel corso dei quali si fornisce all’interessato il maggior numero d’informazioni utili possibili al fine di consentire loro una valida alternativa all’uso dell’auto privata per gli spostamenti prospettando tra l’altro quali vantaggi si potranno ottenere non solo in termini economici e per la comunità ma anche per la propria salute fisica nel rinunciare all’auto. L’esperimento iniziale ha coinvolto circa 200.000 famiglie ed ha tra l’altro consentito all’amministrazione di Perth di poter avviare la costruzione di una nuova linea ferroviaria con oltre il 90% dei consensi a favore del progetto da parte della cittadinanza.
State of the World dedica un capitolo anche al ruolo dei mass media.
I mezzi di comunicazione di massa, poiché ritraggono lo stile di vita degli individui, trasmettono norme sociali, modellano i comportamenti e agiscono dunque come veicolo di marketing diffondendo notizie e informazioni, confermandosi uno strumento estremamente efficace per plasmare le culture. E’ possibile usare questi mezzi sia per diffondere un modello culturale consumistico sia per contrastarlo, promuovendo sostenibilità. Benché oggi la stragrande maggioranza dei media alimenti il primo aspetto, a livello globale, si sta intervenendo per modificare questa tendenza. Visto il ruolo preponderante del marketing nella stimolazione dei consumi sarà strategico usarlo per promuovere comportamenti sostenibili. Gli esempi certo non mancano, basti pensare ad esempio alle campagne per scoraggiare il tabagismo, piuttosto che a quelle per praticare sesso sicuro, indossare le cinture di sicurezza, abbassare i consumi di alcool.
Oltre ai mass media anche le arti possono fornire un prezioso contributo: sono riportati esempi nel campo delle arti figurative, della musica e della cinematografia. In proposito la bella copertina dell’edizione americana di State of the World 2010 riporta “Gyre” l’opera di Chris Jordan ricreazione della celebre stampa su legno dell’artista giapponese K. Hokusai, “La Grande onda di Kanagawa", realizzata però grazie all’utilizzo di ben 2,4 milioni di pezzi di plastica.
Particolarmente interessanti ho trovato l’analisi ed i distinguo fatti su film narrativo e documentario. Il cinema in generale viene giustamente riconosciuto come potente mezzo in grado di contribuire alla comprensione che gli individui hanno del mondo e del loro ruolo in esso. Il documentario tuttavia in genere è in grado di coinvolgere solo un pubblico già sensibile ad una particolare tematica e dunque manifesta un potenziale limitato nell’ottica della trasformazione culturale che s’intende promuovere. Nel film narrativo è invece più facile coinvolgere emotivamente un pubblico anche estraneo a certe tematiche proprio perché l’azione virtuosa non viene fatta calare dall’alto ma viene in qualche modo “normalizzata” attraverso l’azione dei personaggi sullo schermo. E’ in fondo, quest’ultima, la logica che abbiamo provato a seguire nella realizzazione del nostro docu-film “Non buttarti via” sulla tematica assai delicata della riduzione della produzione di rifiuti domestici.
Il libro contiene naturalmente un’infinità di altri spunti che per tempo e spazio sono costretto a tralasciare ma che mi auguro possano essere vagliati con attenzione da chi avrà la bontà di cimentarsi nella lettura di quello che giudico un utilissimo strumento di stimolo a riflettere e agire, prima che sia troppo tardi.
Michele Salvadori
2 commenti:
il problema non è agire.... è cambiare le teste della gente...
Finalmente qualcuno che la pensa come me Lavorare meno ma lavorare tutti - basterebbe portare da 40 a 36 ore l'orario di lavoro x poter assumere non dico il 10 ma il 6-7% di persone in più - per quanto riguarda i consumi bisogna che i paesi industrializzati si adattino per esempio mettendo forti tasse su tutto quello che è usa e getta - conosco persone che usano normalmente piatti di carta x evitare di lavarli... poi ci sono oggetti che compriamo e buttiamo con facilità come gli orologi che quando si fermano non conviene ripararli- un tempo passavano al figlio e poi al nipote...
Poi ad esempio i pc che dopo qualche anno dobbiamo cambiarli anche se non abbiamo particolari esigenze xchè non sono più compatibili con niente....
spero di essermi fatto capire
ANDREA PIOMBINO
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