Nel 1972, come è noto, su
incarico del Club di Roma, un gruppo di studiosi del MIT pubblica " I Limiti dello sviluppo". Il libro,
basato su simulazioni effettuate con i primi elaboratori elettronici, prefigura
gli effetti della crescita della popolazione, dei consumi e dell’inquinamento
sul nostro pianeta, fisicamente limitato. Ormai a distanza di tanti anni si
riconosce che le conclusioni di quello studio erano sostanzialmente corrette.
Nel 2012, Jorgen Randers, uno dei
coautori de “I Limiti dello Sviluppo”,
ha deciso di avvalersi dei contributi di una quarantina di esperti e dei
calcoli elaborati da supercomputer per provare ad immaginare come potrà essere
il nostro futuro sulla Terra tra altri quaranta anni, nel 2052.
Il risultato di questo complesso
lavoro è decisamente affascinante, in particolare per gli obiettivi prefissati
da un blog come “Che Pianeta faremo”,
ma credo anche utile a tutti coloro i quali, nei prossimi anni, debbano rivestire
ruoli di responsabilità (politica e non) e di gestione di risorse.
Diciamo subito che le conclusioni
a cui Randers arriva in “2052 – Rapporto
al Club di Roma” – (Ediz. Ambiente – 2013), portano ad immaginare un pianeta,
il nostro, che tra quarant'anni verserà in condizioni decisamente peggiori
delle attuali e pur tuttavia non disastrose come qualcuno potrebbe credere.
Inevitabilmente sono costretto a
sintetizzare un testo che meriterebbe ampiamente di essere letto integralmente
con attenzione ed al quale rimando. Anzi, invito calorosamente a dedicarvisi,
non sarà tempo perso, fidatevi.
Proverò comunque a mettere
insieme i punti che giudico più importanti.
Randers parte dall'analisi
storica dello sviluppo globale sulla Terra negli ultimi trecento anni. Prima
del ‘700 il mondo era scarsamente popolato, per lo più a sviluppo agricolo e
consumava pochissima energia (si andava avanti con gli schiavi, i cavalli, il
bestiame e un po’ di legna da ardere). L’avvento delle macchine a vapore
alimentate dal carbone diede inizio alla rivoluzione industriale caratterizzata
da un progressivo ma anche esorbitante aumento dei consumi energetici. Negli
ultimi 250 anni l’uso dell’energia ha reso i paesi industrializzati ricchi di
beni materiali ed assicurato alle loro popolazioni una vita decisamente meno faticosa.
Anche molti paesi un tempo meno industrializzati stanno oggi ripercorrendo
quella stessa strada. La Cina ne è l’esempio più lampante ma certo non il solo.
Già oggi possiamo annoverarvi nazioni come l’India, il Brasile e altre ancora
caratterizzate oltretutto da un elevatissimo numero di abitanti.
La questione è che l’aumento senza
limiti del consumo di materiali ed energia oltre a non essere praticabile
vivendo su un pianeta limitato, risulta anche assai dannoso in termini di
impatto sull'ambiente.
Secondo Randers, dunque, l’era
della rivoluzione industriale è destinata prima o poi a tramontare per lasciare
spazio all'era della sostenibilità caratterizzata da un mondo nel quale la
popolazione non sarà più in aumento, dove l’energia sarà ancora molto
utilizzata, anche se in maniera più saggia, e proverrà da fonti rinnovabili;
avremo un mondo nel quale, finalmente, l’obiettivo primario sarà il benessere
del genere umano e non più il possesso materiale. Il paradigma dominante dovrà
spostarsi da quello di una crescita fisica infinita a una forma di stabilità
che si adatti alla capacità di carico del pianeta.
Il punto cruciale è la velocità
con cui si realizzerà tale transizione: saremo,
cioè, capaci di realizzarla in tempo da evitare gravi danni allo stato di
salute attuale del pianeta?
Secondo l’autore la risposta
purtroppo è NO. Entro il 2100 probabilmente avremo raggiunto
l’obiettivo di un mondo molto più sostenibile di quello attuale ma non senza
gravi perdite in termini di biodiversità e grosse modifiche alle condizioni
climatiche della Terra. E soprattutto i prossimi quarant'anni saranno
fortemente influenzati dal modo in cui affronteremo cinque problemi
d’importanza basilare: il capitalismo, la crescita economica, la democrazia,
l’equità intergenerazionale ed il nostro impatto sul clima globale.
Provo di seguito a sintetizzare
le principali previsioni avanzate dal testo sui principali temi:
Popolazione nel 2052
Ci è voluta tutta la storia
dell’umanità per arrivare a circa tre miliardi di persone nel 1960, altri
quarant'anni per raddoppiare quel numero toccando i sei miliardi e altri dieci
per raggiungere i sette miliardi di abitanti odierni sulla Terra. La previsione
di Randers è per certi versi perfino ottimistica; egli infatti sostiene che il picco di popolazione globale sarà
raggiunto attorno al 2040 e si aggirerà attorno agli 8,1 miliardi di abitanti.
Da quel momento in poi la popolazione inizierà a diminuire. Ciò avverrà non a
causa di malnutrizione, inquinamento o epidemie ma piuttosto dalla scelta
volontaria di miliardi di famiglie - la cui stragrande maggioranza nel
frattempo si sarà trasferita a vivere in grandi metropoli da milioni di
abitanti - di procreare di meno. Quando infatti la maggioranza delle persone
sarà urbanizzata, avere molti figli non rappresenterà più un vantaggio: ogni
figlio in più in una metropoli è una bocca in più da sfamare, una persona in
più da scolarizzare e non un paio di braccia in più da destinare
all'agricoltura.
Energia e CO2 nel
2052
Circa l’87% dell’energia
attualmente usata deriva da tre combustibili fossili: carbone, petrolio e gas.
La parte rimanente è coperta per il 5% dall'energia nucleare e per l’8% da
fonti rinnovabili (biomasse, idroelettrico e da un piccola - ma in rapida
crescita – quota di eolico e fotovoltaico).
Possiamo aspettarci, sempre
secondo l’autore del libro, che l’utilizzo di energia crescerà all'aumentare
dell’attività economica e che dunque in proporzione verrà emessa maggiore
quantità di CO2 in atmosfera almeno fino a quando non decideremo di
passare all'utilizzo in maniera consistente delle energie rinnovabili. Di
conseguenza fino a quel momento assisteremo ad un progressivo aumento delle
temperature medie anche perché abbiamo ancora a disposizione sul pianeta una
quantità di combustibili fossili più che sufficiente ad alimentare il mondo ben
oltre il 2052 anche se a costi più elevati di quelli attuali in quanto i
combustibili pur disponibili presentano maggiori difficoltà di estrazione. E’
ipotizzabile che i combustibili fossili verranno col tempo sostituiti dalle
rinnovabili; tuttavia questo passaggio avverrà in maniera graduale e comunque
non in modo definitivo almeno sino a quando i costi delle energie amiche del
clima si saranno abbassati. Nel 2052 –
ecco la previsione - più della metà dei
consumi mondiali di energia saranno ancora coperti da fonti fossili. Sul
piano dell’efficienza energetica nel
frattempo avremo fatto passi avanti anche se ancora non definitivi: circa un 30% in più rispetto ad oggi.
Se l’umanità continuerà a
bruciare carbone, petrolio e gas fossili secondo il mix attuale, le emissioni
di CO2
derivanti dalla produzione di energia cresceranno del 50% entro il 2052, il che
potrebbe significare un aumento medio delle temperature terrestri di ben oltre
i 2 °C e molto più elevato dopo quella data. Secondo Randers però questo non si
verificherà. Il consumo di combustibili fossili nel 2052 sarà in declino, il
contributo del nucleare in diminuzione ed il vero vincitore saranno le rinnovabili che, assieme, nel 2050
dovrebbero raggiungere circa il 37% della torta energetica. Il passaggio
verso le rinnovabili sarà in parte rallentato dall'esistenza di una soluzione
transitoria assai economica: la sostituzione del carbone col gas, (ndr.: in
particolare lo shale gas, di cui riparlo più avanti) soluzione migliorativa (due
terzi di CO2 in meno prodotti) ma non definitiva. Anche il nucleare si
avvierà verso un lento ma inesorabile tramonto, secondo Randers,
sostanzialmente a causa di due fattori: gli eccessivi costi di realizzazione
delle centrali ed il pericolo di possibili attentati terroristici influiranno
ancor più del timore sulla scarsa sicurezza degli impianti.
Lo sviluppo delle fonti rinnovabili deriverà soprattutto dall'eolico off shore nei mari e dai pannelli solari collocati nelle zone desertiche o, in modo invisibile, sui tetti degli edifici, integrati da biomasse ottenute da piantagioni specificamente coltivate su terreni degradati.
Le emissioni di CO2 aumenteranno
fino a raggiungere il picco nel 2030 per poi iniziare a diminuire. Secondo il
nostro scienziato norvegese le emissioni mondiali di CO2 derivanti
dall'utilizzo di energia nel 2052 saranno un buon 40% più alte delle emissioni
globali del 1990. Tuttavia inizieranno a diminuire ed è ipotizzabile che si
arrivi per quell'epoca a pareggiare il livello di emissioni odierno. Di certo
però, il mondo avrà perso l’occasione per contenere l’aumento del riscaldamento
globale sotto i 2°C concordati a livello internazionale. L’aumento della temperatura media nel 2052 sarà di oltre 2 °C in tutto
il pianeta.
Come conseguenza dell’aumento
medio delle temperature nei prossimi decenni l’umanità sperimenterà un numero
crescente di impatti climatici. Assisteremo
con sempre e progressiva maggiore frequenza ad eventi meteorologici estremi (alluvioni, siccità, frane, tornado
e uragani, oltretutto in luoghi atipici), allo
sbiancamento delle barriere coralline, alla morte di vaste porzioni di foreste,
ad infestazioni di insetti. Senza parlare dell’effetto più ovvio: la fusione del ghiaccio artico, la
riduzione dei ghiacciai e l’aumento del livello medio dei mari di circa 30
centimetri. Infine assisteremo allo
spostamento di circa 100 chilometri verso i poli delle zone climatiche ed
all’espansione dei deserti in nuove aree ai tropici.
Cibo e Impronta ecologica verso il 2052
Un’altra delle domande cruciali è
quella: avremo cibo a sufficienza? La
risposta è: “PROBABILMENTE SI’”,
almeno fino al 2052. La domanda di cibo in realtà non aumenterà quanto si teme
per una serie di ragioni: la popolazione mondiale sarà più numerosa
dell’attuale ma meno di quel che ci attendevamo; anche se tante persone povere
mangeranno meglio di quanto facciano oggi, molti ricchi consumeranno molta meno
carne rossa. Ma saranno ancora molti quelli che continueranno a morire di fame.
Assisteremo ad una sempre maggiore diffusione
degli OGM perché essi aiuteranno a incrementare i raccolti nelle regioni
troppo aride o troppo umide e l’umanità accetterà i rischi che gli OGM possono
comportare nel lungo periodo a fronte dei benefici ottenibili nel breve. L’agricoltura,
man mano che ci avvicineremo al 2052, sarà sempre più colpita dal cambiamento
climatico. Assisteremo contemporaneamente a due effetti contrapposti. L’aumento
di CO2
in atmosfera favorirà una crescita più rapida ovunque delle piante ma al
contempo l’innalzamento delle temperature causerà l’effetto contrario (con
conseguente perdita di produttività del terreno), almeno nelle zone che saranno
più colpite dal progressivo inaridimento. Parte dei terreni verrà utilizzata
per la produzione di biocombustibili a
scapito della produzione agricola e questo causerà un aumento del prezzo
del cibo. Mangeremo sempre più carne
bianca. (Occorrono circa 7 Kg di grano per produrre un Kg di carne rossa,
mentre ne bastano 2 per un chilo di pollo). Mangiare meno sarà considerato più
raffinato, almeno tra le popolazioni benestanti. Il pesce di alta qualità,
specie quello non proveniente da acquicoltura, finirà solo nei piatti dei più
ricchi.
L’Impronta Ecologica dell’umanità è praticamente raddoppiata dal 1970
a oggi. Nel 2010 essa era già del 40%
superiore alla capacità di carico del pianeta. In altre parole l’umanità stava e sta già occupando 1,4
pianeti per il proprio utilizzo di grano, carne, legna, pesce, spazio
urbano ed energia. Qualcuno si chiederà come sia possibile. L’attuale
superamento è giustificabile dal fatto che l’impronta include nel suo conteggio
anche la quantità di foreste che sarebbe necessaria per assorbire tutta la CO2 che
viene emessa per la produzione di energia. Ma questo territorio non esiste più
e la CO2 non viene assorbita del tutto dalle piante finendo con
l’accumularsi in atmosfera. La quantità di foreste che sarebbe necessaria è
circa il doppio di quella attualmente disponibile. Come conseguenza stiamo sperimentando un graduale e
insostenibile (anche se lento) riscaldamento del pianeta. A questo punto ci
restano solo due strade: la riduzione gestita oppure il collasso naturale. Quando
probabilmente sarà ormai troppo tardi per evitare seri danni e di fronte ad
eventi meteorologici sempre più frequenti ed estremi anche la maggioranza degli
individui della nostra specie arriverà alla conclusione che è necessario un
radicale cambiamento delle nostre abitudini.
La quantità di terra non utilizzata dagli
uomini si ridurrà drammaticamente fino ad arrivare a meno del 20% nel 2052. La
disponibilità pro capite di natura precipiterà dagli 1,2 ettari globali a
persona nel 1970 a 0,3 ettari pro capite
nel 2052 (il 75% in meno!). La natura indisturbata sarà limitata alle aree
protette dove cercherà di sopravvivere ma con non poche difficoltà. Infatti nemmeno nei recinti di un parco nazionale
la flora e la fauna saranno in grado di difendersi dal cambiamento climatico
che nel frattempo starà spostando gli ecosistemi verso il nord e il sud dei
rispettivi emisferi. A distanza di
qualche decina di anni gli ecosistemi si saranno spostati fuori dai confini del
parco. O sulle alture che dominano il parco. Nei prossimi 40 anni le zone climatiche si muoveranno verso i poli di
circa 5 km all’anno e su per le montagne di circa 5 metri all’anno. In 40
anni cioè assisteremo a spostamenti di 80 Km a nord ( o a sud a seconda
dell’emisfero) e di 200 metri in altitudine.
Riflessioni sul futuro che attende le nuove generazioni
Sulla base di queste previsioni
Randers, nella seconda parte del suo studio, cerca di analizzare le principali
conseguenze che si avranno per l’umanità (in termini di abitudini e
comportamenti) che - ed è questa in fondo la principale buona notizia - nonostante
tutto, sopravvivrà.
Così come l’età della pietra non
è terminata per mancanza di pietre, l’era dei combustibili fossili non finirà
per la mancanza di petrolio, gas o carbone. Semplicemente gli esseri umani non
ne avranno più bisogno: risparmieremo sull’utilizzo delle risorse, aumenteremo
la nostra efficienza energetica ed il consumo di energie fossili non crescerà
perché sfrutteremo di più le rinnovabili. L’abbandono dei combustibili fossili
però non avverrà con la necessaria rapidità utile ad evitare il riscaldamento
del pianeta. Perciò dovremo affrontare i problemi che ne deriveranno. L’umanità cercherà di aumentare gli
investimenti annuali in misure di protezione: per riparare i danni subiti
ad esempio da uragani e alluvioni, per adattarsi (ad es. costruendo nuove dighe
per contrastare l’aumento del livello del mare) oppure per sviluppare nuove
tecnologie (ad esempio l’energia solare oppure il CCS, il sistema di stoccaggio
dell’anidride carbonica nel sottosuolo). Senza dubbio questi investimenti
ridurranno i danni, faranno incrementare il PIL mondiale, ma certo non
incrementeranno i consumi e questo rappresenta l’altra buona notizia: un tasso di crescita inferiore ridurrà
l’impatto dell’umanità con i limiti del pianeta.
Sul piano politico la questione principale del nostro futuro non
consisterà nel risolvere i problemi che ci troveremo di fronte, ma piuttosto
nel trovare l’accordo per farlo.
Secondo Randers il mondo sarà infatti sufficientemente stupido da posticipare le azioni
necessarie a causa dell’interesse a breve termine di coloro che lo governano,
ovvero le maggioranze democratiche ed il sistema capitalistico.
Perderemo con molta probabilità le barriere coralline, la taiga e le
foreste pluviali con tutta la loro biodiversità, ma noi esseri umani
sopravviveremo anche se in un mondo diverso da quello attuale.
Sul piano economico assisteremo
alla nascita di una nuova egemonia a scapito degli Stati Uniti: quella della
Cina. Il passaggio della leadership mondiale dagli Stati Uniti alla Cina
avverrà senza conflitti militari e piuttosto pacificamente. Nel 2052 la Cina
avrà una popolazione tre volte e mezzo più grande di quella degli USA, la sua
economia sarà due volte e mezzo più sviluppata e la produzione e i consumi
procapite dei cinesi supereranno quelli americani di oltre il 70%. La
Cina sarà la forza trainante del pianeta, secondo Randers. La Cina possiede già 1.000 miliardi di
dollari del debito pubblico americano. Essa possiede inoltre abbastanza carbone
e gas da scisti per far girare la propria economia in questa fase di
transizione. I gas da scisti o shale gas sono considerati la nuova
frontiera nel campo dell’energie fossili. Grazie a nuove tecniche estrattive
oggi è possibile estrarre da particolari tipi di rocce (scistose, appunto) il
gas imprigionatovi. Le riserve accertate di questo gas, in prevalenza metano,
sono estremamente abbondanti (nei soli USA ammonterebbero a ben 23.000 miliardi
di metri cubi) e tali da garantire una relativa autonomia energetica a buon
mercato per i Paesi che le possiedono. Ma la Cina possiede anche una
comprensione dei rischi climatici tale da poter lavorare in anticipo per
limitare i danni, una sufficiente tradizione di indipendenza ed un sistema di
governo centralizzato e sufficientemente autoritario da agevolare la rapidità
di certe scelte. “Fare di più con meno”
sarà il mantra della crescita cinese, volta a perseguire l’obiettivo degli
ultimi 2.000 anni: essere autosufficiente
e indipendente dai barbari che vivono fuori dai propri confini.
Gli americani, allora, come
reagiranno? Senza grandi eccessi, semplicemente perché avranno per quell’epoca
sufficienti risorse interne da garantirsi a loro volta l’autosufficienza, anche
se a discapito della leadership internazionale. Si comporteranno un po’ da
nobili decaduti che conservano tuttavia risorse sufficienti a vivere più che
decorosamente anche se non più con i fasti e gli eccessi di un tempo. Si
troveranno cioè a ricoprire il ruolo dell’Europa dopo le due guerre mondiali: saranno
un paese un po’ più provinciale ma comunque abbastanza soddisfatto di sé. Sia
la Cina che gli Stati Uniti saranno colpiti dai cambiamenti climatici, ma
entrambi i paesi sono talmente estesi da comprendere anche territori che
verranno colpiti relativamente meno.
Debito e Pensioni, come reagiranno le nuove generazioni?
Nel mondo ricco, proprio quella
generazione che ha creato un gigantesco debito nazionale e ha dato vita ad un
enorme sistema pensionistico (privo della necessaria copertura economica) sta
per andare in pensione. Randers nutre forti dubbi sul fatto che le nuove
generazioni accettino in futuro di sostenere questo fardello e pagare debito e
pensioni. Esse non potranno cioè essere fisicamente costrette a farlo se non lo
vorranno ed in questo caso i più anziani potranno fare ben poco. Alcuni debiti non verranno mai ripagati e
una quota parte delle pensioni semplicemente finirà per non essere accreditata
sui conti correnti degli interessati. (ndr:
a tale proposito forse varrebbe la pena di rivalutare, almeno come italiani, la
tanto vituperata riforma Fornero).
Consigli per le nuove generazioni
Ribadito che la società globale
dovrebbe innanzitutto accrescere l’efficienza energetica, passare alle energie
rinnovabili, interrompere la distruzione delle foreste e realizzare impianti di
cattura e stoccaggio del carbonio (CCS), ma che il problema delle soluzioni
climate-friendly è che attualmente esse sono più costose della soluzione più
economica: non fare nulla e continuare come se niente fosse – ragion per cui
ancora procederemo a rilento verso i nuovi paradigmi - lo scienziato norvegese,
a chiusura della sua analisi, avanza alcuni suggerimenti tra i quali i
principali sono i seguenti:
-
Imparare a vivere in un appartamento situato in
ambiente urbano (vivere in luoghi ameni ed isolati sarà in futuro sempre più
difficile e costoso);
-
Investire nell’elettronica d’intrattenimento ed
imparare ad amarla (le immagini diverranno tridimensionali e forse anche gli
odori saranno aggiunti all’esperienza); è lecito chiedersi inoltre, secondo
l’autore, se in futuro avremo ancora voglia di sobbarcarci lunghi e costosi
viaggi quando potremo sperimentare praticamente quasi tutto standosene
comodamente seduti nel divano di casa (probabilmente anche i viaggi turistici
per ammirare i capolavori dell’arte nei grandi musei saranno sostituiti da
comode guide multimediali in 3D che oltretutto ridurranno di molto l’impronta
ecologica di un vero viaggio);
-
Dato che ormai l’umanità sta eliminando la
natura incontaminata dal pianeta: evitare di insegnare ai nostri figli ad amare
qualcosa di cui non potranno mai godere e, se proprio amiamo la biodiversità e
le bellezze del mondo, andare a visitarle subito e comunque prima che sia
troppo tardi;
-
Cambiare residenza scegliendo un luogo e una
nazione che in futuro siano meno esposti di altri agli effetti del cambiamento
climatico (Nord Europa, Cina e Canada, i suggerimenti principali);
-
Scegliere una professione nel campo dei servizi
o dell’assistenza, oppure buttarsi nel settore dell’efficienza energetica o
delle energie rinnovabili;
-
Incoraggiare i propri figli a studiare la lingua
cinese;
-
Imparare a convivere con imminenti disastri
ambientali;
Che fare, allora?
Alla luce di quanto sopra, ecco
di cosa proverò a convincere i miei figli: trasferirsi a Oslo a vivere in un
appartamento di un condominio ad alta efficienza energetica, parlare correntemente
il cinese e mettere al mondo al massimo un figlio al quale mostrare i
capolavori degli Uffizi grazie ad un programma tridimensionale sul televisore
di casa in Norvegia senza il bisogno di venire di persona a Firenze. Quanto
alla professione da scegliere, credo che avrò già sufficienti sensi di colpa
così, senza bisogno di influenzare anche questa loro scelta (sempre che siano
così fortunati da poterla fare!). Facciano quello che più li rende felici,
almeno in campo professionale.
Qualcuno poi potrebbe chiedermi: e
tu, invece?
Sto scrivendo queste righe all’ombra
di un boschetto di macchia mediterranea sul litorale tirrenico della Toscana, a
pochi passi dal mare. Non solo mi sembra paradossale che per colpa di scelte scioccamente e troppo
a lungo procrastinate, tutto questo un giorno possa non esistere più, ma
aborrisco l’idea stessa di poter abbandonare e non poter più immergermi in
tanta pace e bellezza.
No, io da qui non mi muovo.
Piuttosto aspetterò che sia il mare a portarmi via con sé.
Michele Salvadori