E’ il caso di “Gaia”, il celeberrimo libro scritto da James Lovelock nel 1979 che ha di fatto rivoluzionato l’ecologia e gli studi sull’ambiente offrendo una prospettiva nuova al settore degli studi dedicati all’ambiente. Questo testo che solo in Italia è stato pubblicato ben 4 volte (1979, 1987, 1995 e 2000) viene adesso riproposto dal suo editore (Bollati Boringhieri) in una nuova edizione 2011 (la quinta!) a dimostrazione del continuo interesse suscitato dai suoi contenuti che, se all’epoca del sua prima uscita suscitarono scarso interesse e condivisione delle teorie illustratevi, col tempo ha acquisito un numero sempre maggiore di sostenitori.
A differenza di un testo letterario, uno di carattere tecnico è condannato inevitabilmente a subire in modo repentino il passare degli anni. Qualunque teoria scientifica a distanza di pochi anni rischia di essere superata da nuove ricerche e scoperte. E’ in fondo uno degli aspetti positivi del nostro sapere quello di essere in continua evoluzione. Questa regola vale naturalmente anche per “Gaia”, la cui lettura odierna mostra inevitabilmente i segni del tempo ma che risulta ancora oggi di grande interesse, oltre a suscitare notevole ammirazione nei confronti del suo autore per il messaggio estremamente innovativo che egli seppe creare (se pensiamo, appunto, che lo fece ben oltre trent’anni fa!).
E qual è allora in sintesi la teoria illustrata in questo testo? Negli anni ’70, anche a causa della prima crisi petrolifera che costringe l’umanità a porsi i primi interrogativi sull’eccesso di consumi energetici, si assiste alla nascita dei principali movimenti ambientalisti e si sviluppa il primo serio dibattito su queste tematiche che vede svilupparsi due netti fronti contrapposti tra loro; quello dei cosiddetti “catastrofisti” che ritenevano che la Terra si sarebbe progressivamente raffreddata, che prevedevano la glaciazione anche del Mar Mediterraneo lasciando all’uomo poche possibilità di scampo; e quello dei loro detrattori, gli “ottimisti”, che erano invece sin troppo fiduciosi riguardo alle sorti del nostro pianeta a prescindere dai metodi utilizzati dall’uomo per attingere alle sue risorse.
James Lovelock |
Di fronte a queste due strade, Lovelock – e qui sta la sua grande novità – propone un’ipotesi in qualche modo equidistante da entrambe. Nella sua prima formulazione l'ipotesi Gaia, che altro non è che il nome del pianeta vivente (derivato da quello dell'omonima divinità femminile greca, nota anche col nome di Gea), si basa sull'assunto che gli oceani, i mari, l'atmosfera, la crosta terrestre e tutte le altre componenti geofisiche del pianeta Terra si mantengano in condizioni idonee alla presenza della vita proprio grazie al comportamento e all'azione di tutti quegli organismi che concorrono a formarla; la Terra (Gaia, appunto) è, secondo lo scienziato inglese, un unico organismo vivente capace di autoregolarsi e di rispondere a tutti quei fattori nuovi e avversi che ne turbano gli equilibri naturali. La materia vivente non rimane passiva di fronte a ciò che minaccia la sua esistenza. Ad esempio la temperatura, lo stato d'ossidazione, l'acidità, la salinità e altri parametri chimico-fisici fondamentali per la presenza della vita sulla Terra, presentano valori costanti. Questa omeostasi (la condizione di relativa stabilità interna ad un organismo, che deve mantenersi anche al variare delle condizioni esterne attraverso meccanismi autoregolatori) è l'effetto dei processi di feedback (la risposta ad un determinato effetto) attivo svolto in maniera autonoma e inconsapevole dal biota (l'insieme della vita vegetale e animale che caratterizzano una certa regione o area). Inoltre tutte queste variabili non mantengono un equilibrio costante nel tempo ma evolvono in sincronia con il biota. Quindi – afferma Lovelock - i fenomeni evoluzionistici non riguardano solo gli organismi o l'ambiente naturale, ma l'intera Gaia fornendo al contempo una risposta anche a coloro i quali ritengono la natura come una forza primitiva da soggiogare e da conquistare.
Naturalmente la teoria di Gaia è suffragata da una serie di dati e controprove che ci vengono illustrate in dettaglio nel testo che pur ha il grande pregio di utilizzare toni divulgativi che lo rendono accessibile anche ad un pubblico non troppo preparato alle tematiche affrontate.
Ma gli spunti di riflessione che questo testo ci offre sono davvero molti anche ad una sua lettura in chiave storica. Ad esempio la fine degli anni ’70 è l’epoca delle prime ipotesi di vita su altri pianeti. Vengono inviati i primi satelliti (il Viking, ad esempio) alla ricerca di elementi utili a stabilire la possibilità di vita in ambienti diversi dalla Terra. Lovelock ne trae spunto per affrontare delle considerazioni sul concetto stesso di vita. “Come possiamo essere sicuri – egli si chiede - che il tipo di vita su Marte, se esiste, possa rivelarsi con degli esami basati sul genere di vita della Terra?” e ancora: “Che cos’è la vita e come dovrebbe essere identificata?” Domande, a mio parere, ancora oggi senza una risposta definitiva.
Come primo argomento a favore della sua teoria, Lovelock utilizza il raffronto tra pianeti quali Marte, Venere e la Terra. Mentre la condizione di grande acidità atmosferica sia di Marte che di Venere ha reso su entrambi questi pianeti di fatto impossibile lo sviluppo della vita, (almeno per come lo intendiamo noi), sulla Terra si sono create delle eccezionali condizioni di neutralità chimica tali da favorirla, ma soprattutto, tali condizioni di neutralità si sono mantenute nel corso di milioni di anni a prescindere da eventi, anche traumatici, che pure l’avrebbero dovuta modificare drasticamente e forse irrimediabilmente. “Tutto questo è semplicemente dovuto al caso?”, si chiede l’autore.
E ancora. La Terra gira intorno a un’incontrollata fonte irradiante di calore, il Sole, la cui radiazione non è per nulla costante. Eppure fin dall’inizio della vita, circa tre miliardi e mezzo di anni fa, la temperatura media della Terra non si è mai scostata per più di alcuni gradi dai suoi attuali livelli. Non è mai stato troppo caldo o troppo freddo per la sopravvivenza della vita sul nostro pianeta.
Il ragionamento poi prosegue con l’analisi dei singoli gas componenti l’atmosfera: dal principale per noi, l’ossigeno, la cui percentuale (21%) resta miracolosamente costante e tale da consentire lo sviluppo della vita sul pianeta ed al contempo senza raggiungere valori appena di poco superiori (basterebbe il 25%!) da rendere la nostra atmosfera facilmente incendiabile! Fino all’ammoniaca, derivato dell’azoto, avente lo scopo principale, secondo Lovelock, di regolare appunto l’acidità dell’ambiente consentendo, ad esempio, alla pioggia di mantenere un PH vicino ad 8, ottimale per la vita, quando in assenza di ammoniaca in atmosfera il valore del PH sarebbe vicino a 3 ovvero estremamente acido (è il valore del nostro aceto). A questo proposito fa sorridere una prima constatazione di carattere storico quando, in merito alla questione dell’acidità atmosferica, l’autore parla delle prime ipotesi relative alle cosiddette “piogge acide” in Scandinavia e America Settentrionale causate (sembrerebbe!) dall’inquinamento prodotto dalla combustione degli oli industriali per il riscaldamento domestico!
Quando viene affrontato il tema dell’anidride carbonica, all’epoca della prima uscita del libro attestatasi a valori atmosferici attorno allo 0,03% , lo scienziato inglese si dimostra abbastanza scettico in merito alla teoria appena sviluppata secondo la quale il consumo dei combustibili fossili sarebbe destinato ad incrementare notevolmente negli anni seguenti la percentuale di CO2 in atmosfera con conseguenze sul surriscaldamento del pianeta. Ovvio che in’epoca in cui si guardava con preoccupazione al rischio glaciazione l’ipotesi di surriscaldamento fosse vista da alcuni quasi come auspicabile. Inoltre questo argomento, ammesso pure si rivelasse in futuro realistico, per Lovelock cozzava con la sua teoria secondo cui qualunque fenomeno di questo tipo poteva essere facilmente riequilibrato proprio dalla combinazione di tutti gli agenti che compongono il sistema Gaia. Analogo scetticismo viene manifestato nei confronti di un altro problema che inizia a manifestarsi alla fine degli anni ’70: il buco dell’ozono, causato dall’impiego di alcuni gas, i Clorofluorocarburi (CFC) usati all’epoca per il funzionamento di alcuni elettrodomestici (frigoriferi) e per le bombolette spray. Anche in questo caso secondo Lovelock il sistema Gaia sarebbe stato in grado col tempo di innescare dei meccanismi di riequilibrio. Significativo, a tal proposito, il fatto che col passare degli anni il nostro scienziato non solo avrebbe cambiato idea sull’effettiva pericolosità del fenomeno ma addirittura ne sarebbe divenuto uno dei principali artefici della battaglia che avrebbe condotto all’adozione di misure necessarie alla ricomposizione dello strato di ozono atmosferico.
Infine, lo stesso scetticismo Lovelock lo manifesta anche nei confronti della battaglia contro il famigerato pesticida DDT largamente usato negli anni passati dagli agricoltori ma ritenuto causa di gravi malattie. Ebbene anche in questo caso, pur manifestando la massima solidarietà con l’autrice di “Primavera Silenziosa”, Rachel Carson, la prima a denunciare i drammatici effetti dell’uso di questa sostanza a tal punto da paventare un futuro senza uccelli e per questo “silenzioso”, Lovelock si mantiene fiducioso riguardo alla possibilità che anche i danni prodotti da questo antiparassitario possano nel giro di breve tempo essere comunque riassorbiti.
Ciò che secondo il nostro scienziato inglese è fondamentale è che comunque l’uomo preservi alcune aree del pianeta da lui considerate vitali al mantenimento delle capacità di riequilibro da parte del sistema Terra. A riguardo di queste aree Lovelock appare, a mio parere, un po’ reticente. Parla in maniera generica delle zone dei tropici e poi si sofferma sugli estuari dei fiumi, sulle paludi e le piattaforme continentali. Questo patrimonio dovrà essere preservato dall’uomo- in fondo questa è l’unica conditio sine qua non che egli pone - se vorremo preservare la capacità del pianeta di ripristinare ogni volta l’equilibrio intaccato.
Sull’uomo Lovelock mostra di nutrire grandi speranze; secondo lui, l’uomo, rispetto ad altre specie viventi sulla Terra, non eccelle né nel volume del cervello, né nelle sue capacità di animale sociale, tantomeno per l’uso della parola o nell’uso di strumenti. Ciò in cui l’uomo eccelle è nella capacità di utilizzare tutti questi mezzi al contempo, ottimizzandone l’insieme e così facendo raccogliere, accumulare ed elaborare informazioni, e quindi usarle per manipolare l’ambiente con determinazione e in modo da anticipare i tempi.
L’ottimismo per il futuro tuttavia non offre certezze riguardo a quelli che potranno essere gli sviluppi. Secondo Lovelock “non siamo in grado di immaginare con precisione quello che avverrà” e aggiunge: “Non vi possono essere prescrizioni o insieme di regole per vivere su Gaia. Per ciascuna delle nostre diverse azioni vi sono solo conseguenze”.
L’errore più grande che l’uomo possa commettere è quello di ritenere di poter soggiogare la natura ai propri interessi. L’uomo è parte stessa della natura; egli può, anzi, deve sforzarsi di vivere con “intelligenza” in simbiosi con essa.
Lo scorso anno lo statunitense Peter Ward ha avanzato una nuova teoria in contrapposizione a quella di Lovelock definendola, non a caso, l’”Ipotesi Medea”. La tesi di fondo di Ward è che la Terra sia tutt’altro che benevola e per questo paragonandola alla malvagia Medea che nella mitologia greca giunse ad uccidere i suoi figli. Ma il testo di Ward è molto meno attendibile di quello di Lovelock in quanto si limita ad illustrare una sequela di disastri naturali, che nel corso della vita del pianeta hanno causato estinzioni di massa, senza il conforto di argomentazioni di carattere scientifico. A mio parere questo è troppo poco per supportare l’idea che la Terra sia una perfida matrigna.
Resta nonostante tutto il grande fascino invece dell’ipotesi “Gaia” di una Terra tutto sommato anche indulgente (come solo una madre talvolta sa essere!), che non a caso resiste da oltre trent’anni, anche se ogni tanto pure questa teoria mostra delle crepe. Dobbiamo ammettere infatti che le cose non sono sempre andate come Lovelock auspicava e che, quantomeno, di tanto in tanto, la Terra sembra perdere il pieno controllo di se (o la pazienza nei nostri confronti?) e qualche disastro naturale con conseguente estinzione di specie si verifica.
Michele Salvadori